Il 22 marzo su tutti i giornali internazionali è rimbalzata la notizia delle scuse ufficiali da parte di Netanyahu a Erdogan ed a tutto il popolo turco per l'incidente della nave Mavi Marmara. Dopo che con l'inizio dell'operazione “Piombo fuso”, nel dicembre 2008, i rapporti tra Israele e Turchia si erano raffreddati, la ventennale alleanza tra i due paesi fu praticamente distrutta il 31 maggio 2010, quando l'esercito israeliano abbordò una nave turca, la Mavi Marmara, con a bordo attivisti che cercavano di forzare il blocco imposto dagli israeliani alla striscia di Gaza. Nello scontro morirono nove cittadini turchi.
In questi anni i rapporti tra i due paesi sono stati molto conflittuali, anche a causa delle forti personalità che in entrambe i casi ricoprono il ruolo di capo del governo. Per questo motivo la notizia della telefonata, durata ben trenta minuti, fatta da Banjamin Netanyahu al primo ministro turco Recep Erdogan ha fatto immediatamente il giro del mondo. Le scuse ufficiali hanno aperto la strada alla normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, comportando l'interruzione dei procedimenti a carico dei soldati israeliani coinvolti nello scontro aperti in Turchia, lo scambio di ambasciatori e la ripresa dei flussi turistici tra i due paesi.
La domanda che sorge spontanea è: perché adesso? Alcuni (con ingenuità o malafede, non sta a noi dirlo) affermano che la ripresa dei rapporti diplomatici israelo-turchi vada ascritta tra i successi ottenuti da Barack Obama durante la sua visita in Terra Santa, assieme all'ottenimento della promessa da parte del governo israeliano di sbloccare le entrate fiscali che spetterebbero all'ANP. Che le scuse arrivino alla presenza del presidente statunitense non è certo un caso (notare che l'ex Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman si è fermamente opposto all'operazione, credendo che questa avrebbe sconfortato l'esercito israeliano). Ma è evidente che ci sia di più. La feroce carneficina che sta avendo luogo in Siria riguarda da molto vicino, difatti, tutti e tre i protagonisti di questa telefonata. La scorsa settimana il vertice dei Ministri degli Esteri dell'Unione Europea si è riunito a Dublino per cercare di trovare un accordo sull'abolizione dell'embargo sul rifornimento di armi ai ribelli siriani, misura fortemente voluta dagli Stati Uniti. Il vertice, diretto dall'Alto Rappresentate della Politica Estera Catherine Ashton e conclusosi lo scorso 23 marzo, non ha visto i 27 europei trovare un accordo: se da una parte Francia e Gran Bretagna hanno supportato la richiesta statunitense di un restringimento dell'embargo, dall'altra Germania, paesi scandinavi ed Irlanda sono stati irremovibili.
Evidentemente, più che passa il tempo, più che la situazione siriana rischia di sfuggire di mano agli alleati occidentali. In quest'ottica il ricongiungimento tra Israele e Turchia gioca un ruolo fondamentale: entrambi i paesi si sono da subito impegnati nel sostenere i ribelli siriani contro l'esercito di Assad (la tensione sul confine turco-siriano ha più volte sfiorato livello molto pericolosi) e la creazione di un fronte mediorientale anti Assad non fa che rafforzare le posizioni dei due paesi. In aggiunta, Israele, grazie alla pacificazione con la Turchia, rompe la bolla di isolamento tra i paesi del medio oriente in cui si è ritrovato a causa della politica delinquenziale nei confronti dei palestinesi. La Turchia, a sua volta, vede accrescere il suo ruolo nell'area. I successi diplomatici raggiunti dal premier Erdogan stanno facendo sì che la Turchia, vista un po' come un elemento estraneo in Medio Oriente in seguito all'indipendenza e al processo di laicizzazione ed orientalizzazione avviato da Mustafà Kemal e portato avanti dall'esercito, protettore dello Stato turco, si apra uno spiraglio come potenza influente nell'area mediorientale. Oltre all'aver ottenuto le scuse ufficiali per l'incidente della Mavi Marmara, il Primo Ministro Erdogan il 21 maggio ha visto riaprirsi la trattativa col leader indipendentista curdo Ocalan, il quale nel giorno del Newroz, ha affermato che è giunta l'ora del dialogo ed ha proposto che le forze armate curde si ritirino oltre il confine del Kurdistan iracheno.
Pur non sapendo quale esito avrà la trattativa, è innegabile il successo diplomatico che va ad accrescere soprattutto l'autorevolezza del Primo Ministro. Autorevolezza che, data la storia di Recep Erdogan, riabilita la Turchia agli occhi degli altri paesi islamici dell'area.