Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.
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Di sentenze Tar, supernomine e magre figure
La settimana appena trascorsa ha vissuto dei momenti, che definire particolari risulta, ai più, un esercizio di puro eufemismo. La vicenda è arcinota: il Tar del Lazio ha praticamente revocato la nomina di alcuni dei superdirettori vincitori dell’ultima procedura concorsuale, anche se successivamente tramite la manovrina sembrerebbe che si sia trovato il rimedio legislativo tramite una diversa interpretazione della norma di 16 anni fa. È stato inserito un comma aggiunto in discussione in Commissione Bilancio all’art. 22 della manovra, il numero 7bis, che dovrebbe superare la sentenza del tribunale amministrativo del Lazio
Ci siamo permessi di riprendere questa riflessione, pubblicata su www.articolo1mdpfi.it, con l'idea di provare a riprendere questo ragionamento sul nostro sito nelle prossime settimane.
L’attuale fase del capitalismo ci consegna il sogno infranto della crescita inclusiva, che ha costituito la base materiale dello sviluppo postbellico e delle socialdemocrazie occidentali e ci pone davanti ad uno scenario incerto dove i capricci e le priorità dei mercati finanziari prevalgono sul bisogno di rilanciare l’economia reale, e con essa, la promessa realizzabile di un benessere più diffuso e inclusivo, al punto tale da colpire nella sostanza la tenuta democratica del nostro paese.
Il monito di Jorge Bergoglio sulla “terza guerra mondiale a pezzetti” trova una sinistra conferma dall’ultimo report dell’International Peace Research Institute di Stoccolma, nel quale si rileva che i governi in tutto il mondo hanno speso l’anno scorso qualcosa come 1.686 miliardi di dollari in spese militari. Una somma inimmaginabile, tale da far capire come i movimenti contro la guerra abbiano profonde ragioni nel denunciare lo stato delle cose, in un pianeta nel quale un quarto della specie umana sopravvive a stento.
San Luca, dove abdica la democrazia
I giorni scorsi hanno visto un trionfo sui social, e non solo, di celebrazioni (a volte stucchevoli), di una figura politicamente e storicamente fondamentale per questo Paese, Peppino Impastato.
Il giovane attivista siciliano ucciso quella tragica notte tra l’8 e il 9 Maggio 1978, sotto i colpi di Badalamenti e i suoi “picciotti”, una pagina nera di questo Paese, su cui, per troppo tempo, s’è discusso senza conoscere né i fatti né le cause scatenanti una crudeltà tanto efferata quanto blasfema. Sappiamo tutti che al principio di quella morte ne furono dette di mille colori: sovversivo, anarchico, pazzoide, un continuo infangare una figura così importante per la lotta (iper conflittuale) a chi quel territorio lo comanda da generazioni, con la troppo spesso e neanche troppo velata, accondiscendenza di determinati amministratori.
Legalità, una parola che "tutti" apprezziamo ma che può significare tutto o niente.
Se parliamo di legalità in maniera ortodossa,allora anche il regime fascista era rispettoso della legge poiché rispettava le leggi che esso stesso aveva creato.
Intervista a Giovanni Russo Spena
Partirei dal libro Guai ai poveri, di Elisabetta Grande, che hai avuto modo di recensire e di cui parleremo prossimamente su Il Becco. Il testo illustra come, a partire dagli anni ‘70, il sistema politico statunitense abbia disegnato una società in cui crescono le disuguaglianze, dove i poveri aumentano mentre cresce la ricchezza complessiva del Paese, a vantaggio di pochi. L’azione discriminatoria sul piano sociale si sviluppa sul piano normativo, del diritto. Quali analogie ci sono rispetto alla situazione italiana?
In Italia ci avviamo verso una condivisione assoluta del modello statunitense, con pochissime eccezioni.
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