Eppure, il 20 settembre di quel lontano 1870 il Regno d'Italia, nato da quasi un decennio, riuscì ad annettere lo Stato Pontificio e, in seguito, trasferire a Roma la capitale. Non è nostra intenzione descrivere i fatti storici nel dettaglio: consapevoli del fatto che da un punto di visto strategico militare non fu un'operazione degna di nota, lasciamo le disquisizioni su cosa spinse Pio IX ad accogliere gli italiani con una resistenza così poco convincente ad altri. Quello che ci interessa veramente è l'aspetto simbolico dell'evento: la fine del potere temporale del papato così come questo era stato concepito per secoli e secoli.
Se con certezza possiamo affermare che l'estensione territoriale del dominio del Papa è stata ridotta alla sola Città del Vaticano, possiamo fare lo stesso parlando del potere politico e culturale di questo signore vestito di bianco e la corte che lo circonda?
La riflessione in questione può essere approcciata da innumerevoli punti di vista ma alla luce dei fatti freschi di giornata, la scelta diventa quasi obbligata. Quello a cui abbiamo assistito ieri seguendo il dibattito parlamentare sulle aggravanti al reato di omofobia è stato uno spettacolo indegno: il Parlamento ha deciso che esprimere le proprie opinioni, se lo si da nell'ambito di un'organizzazione politica, culturale o religiosa, non può mai essere considerato reato. Anche se ciò che si dice è normalmente classificato come omofobia.
Le possibilità sono due: o tutti i beoti nell'assemblea che detiene il potere legislativo siamo riusciti ad infilarceli noi oppure ci devono essere degli elementi, storici-culturali-sociologici, su cui riflettere.
Mentre in tutta Europa si fanno passi avanti riguardo al riconoscimento della parità di diritti tra coppie eterosessuale ed omosessuali, noi, in Italia, in certi casi ancora guardiamo i divorziati come fossero appestati. La morale cattolica e bigotta che ci contraddistingue non solo impedisce progressi sulla strada del riconoscimento dei diritti ai gay ma comporta addirittura regressi in quei campi in cui la situazione dovrebbe essere assoldata. Parliamo evidentemente del diritto che hanno le donne italiane di poter disporre come vogliono del proprio corpo e quindi di decidere se e quando interrompere una gravidanza. Per quando la legge 194 sia una conquista risalente al 1978, l'Italia vede oggi picchi di obiezione di coscienza che raggiungono l'80%, rendendo praticamente impossibile alle donne l'esercizio del proprio diritto. Questi numeri non sono dovuti ad un caso ma alle azioni di organizzazioni che agiscono con pressioni (e favori) sui medici affinché si dichiarino obiettori di coscienza e dicano di non essere disposti a praticare aborti.
Chiedersi come mai tutto questo avvenga in Italia comporta, evidentemente, una riflessione sull'influenza dello Stato Vaticano, ancora presente nella penisola, sulla politica italiana. La posizione dell'opinione dei cattolici è stata sempre tenuta molto in considerazione da chiunque si sia ritrovato a prendere decisioni che riguardavano l'intero Paese in quanto parliamo, in ogni caso, di una fetta molto consistente della popolazione. Il problema è che in Italia il rispetto dei dettami della dottrina cattolica pare, in molti casi, venire prima del rispetto dei diritti e delle leggi dello Stato: appoggiamo missioni “civilizzatrici” per salvare paesi del Terzo Mondo ma non siamo in grado di garantire l'uguaglianza ai cittadini, condanniamo fermamente la condotta di Putin in quanto riteniamo che in Russia i diritti civili non siano garantiti ma accettiamo le condanne europee pur di non riconoscere all'istituzione ecclesiastica un trattamento fiscale che segue le leggi italiane ed evitiamo come la peste qualunque indagine sullo IOR, la banca vaticana.
Una domanda sorge quindi spontanea: è stata quindi davvero presa Porta Pia?
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