Dalla divulgazione scientifica alle recensioni di romanzi, passando per filosofia e scienze sociali, abbracciando il grande schermo e la musica, senza disdegnare ogni forma del sapere.
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Dopo l’esibizione sorprendentemente riuscita all’Aeroporto di Malpensa, allestita in forma di performance all’aperto per celebrare l’Expo di Milano, L’elisir d’amore torna sul palco del Piermarini in una versione che ha girato i maggiori teatri d’Europa già dal 1998.
È a partire dalle bozze del costumista Tullio Pericoli, che aveva collaborato con la regia di Ugo Chiti nel 1998 e nel 2001 e di Laurent Pelly nel 2010, che Grischa Asagaroff ha voluto produrre questa nuova messinscena.
Una versione che fa il verso ad un ottocento fiabesco, da illustrazione per bambini, in cui colori sgargianti e tinte pastello, abiti dalle forme voluminose e accentuate ed oggetti di scena puliti e semplici, si uniscono alla recitazione da commedia dell’arte dei personaggi.
Per l'ateo Jaco Van Dormael, Dio abita a Bruxelles
Era da tempo che mi chiedevo che fine avesse fatto il regista belga (classe 1957) Jaco Van Dormael. I tratti caratteristici dei suoi film sono la sperimentazione, le sequenze brillanti e oniriche (molto felliniane), uno strabiliante sonoro. I suoi film sono noti specialmente per la rappresentazione rispettosa e solidale di persone con disabilità mentali e fisiche. La rappresentazione delle diversità è un suo marchio di fabbrica. In Italia non lo conosce quasi nessuno, ma in Europa (vedi Francia) è parecchio noto. Soltanto 4 lungometraggi figurano nella sua filmografia.
Tre figli viziati ed allergici al lavoro sono travolti da un colpo di scena che sembra togliere loro le ricchezze consolidate e che costringe un'intera famiglia a ritrovarsi - materialmente e figurativamente - in una catapecchia tarantina.
C'è questo e tanto altro nella commedia, firmata dal regista de Il partigiano Johnny e Lavorare con lentezza Guido Chiesa, Belli di papà. La trama, ispirata a due precedenti film messicani, pur non essendo attuale offre al pubblico uno spunto di riflessione rassicurante ma capace di divertire.
40 anni di Amici miei e la supercazzola del vocabolario
Il cinema attuale, carente di idee nuove, offre la possibilità di rivedere vecchie opere in sala. E' un'occasione unica, da non perdere. Per un cinefilo è un sogno, un attimo di paradiso. E' successo con Fantozzi, Ritorno al futuro, i film di Chaplin, le opere leggendarie di Sergio Leone e tantissime altre. L'avreste mai detto? Ad arriccchire la collezione "di figurine", non poteva mancare il film che rappresenta l'essenza del fiorentino verace: lo scorso 10 agosto era il 40° anniversario dell'uscita di "Amici Miei" al cinema. La versione restaurata, in 2K dalla Filmauro di De Laurentiis (detentore dei diritti), è tornata in sala questa settimana con grande successo. Perchè l'amicizia è un bene universale. A Firenze poi un'opera come questa rappresenta l'essenza dello spirito vero del suo abitante. Tanto che, nel 2010 (prima che morisse Monicelli), è stato fatto un corto sul funerale del Pierozzi diretto da Federico Micali e Yuri Parrettini. Ospiti d'eccezione Gastone Moschin e Mario Monicelli, unici superstiti del cast. I ruoli dei protagonisti del film sono stati reinterpretati da attori fiorentini non
Pompei, orde di turisti in assalto
Litanie e sermoni, ormai ci siamo abituati: “Pompei è un tesoro”, “I siti archeologici come Pompei sono il nostro petrolio”, “Crolla tutto a Pompei, è li che dobbiamo investire poiché da lì possono nascere molti profitti”. Parole e musica di salotti della Tv, del bar sotto casa fino alle tribune politiche passando per il Parlamento. Un ritornello diventato classico per l’informazione italiana: parlare di siti storico-archeologici solo in qualità di merce e solo rispetto a situazioni “straordinarie” come quella dell’antica città vesuviana distrutta 2000 anni orsono. Sia chiaro Pompei è un sito straordinariamente importante sotto molti punti di vista; l’enormità di dati che da esso si possono ricavare (dall’antropologia, passando per la botanica fino all’archeologia pura) sono stupefacenti, tutto ciò però non giustifica un “assalto ai forni” quanto mai deleterio e pericoloso.
Hell’s Kitchen volume secondo in casa Netflix. A poco più di sei mesi dall’uscita di Daredevil arriva Jessica Jones, a confermare la qualità di un progetto Marvel che occupa l’evoluzione del piccolo schermo (la distribuzione di tutte le puntante della stagione lo stesso giorno, visibili in streaming).
L’ambientazione è cupa, con una sigla di apertura che richiama esplicitamente le tinte del noir. Il pubblico a cui si rivolge è quello che ha alle spalle la propria adolescenza, così come per la versione a fumetti. Rimorsi, dolori, vendette, vite complicate, violenza, speranze di redenzione, tossicodipendenza, sensualità e sesso: in un flusso di alcol a basso costo l’investigatrice privata cerca di non affogare, nonostante il ritorno di un nemico implacabile, in grado di controllare le menti delle persone con la sola voce.
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