Le arti in senso parziale e arbitrario: principalmente teatro (prosa e lirica), mostre e fotografia, senza rifiutare anche riflessioni più generali.
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Dopo le scelte di bilancio dello scorso anno che portarono alla sua rimozione dal cartellone ritorna finalmente quest'anno La Rondine di Puccini (libretto di Giuseppe Adami che con il maestro toscano lavorerà poi alla Turandot) con repliche fino al 25 marzo. Opera non rappresentata a Genova dal 1917, cioè quasi nell'immediatezza della sua scrittura (è stata infatti completata nel 1916), non è certamente tra le più note di Puccini ma merita di essere vista per il linguaggio nuovo di cui è portatrice, tanto da un punto di vista compositivo quanto per lo spazio concesso alla recitazione (quasi del tutto assenti infatti i momenti chiusi).
Spesso associata alla Traviata ha in effetti qualcosa in comune con l'opera verdiana. Anche in questo caso infatti vi è un amore consumato e poi finito ma... non ci sono i morti! Siamo già infatti nell'Europa del liberty, un'Europa nella quale i valori forti si spostano dal piano privato per approdare in quello pubblico.
È una sensazione strana descrivere la prima assoluta di un’opera moderna, scritta e musicata da persone che sono ancora tra noi e non da autori lontani nel tempo. Il Carlo Felice di Genova ha deciso di regalarci questa sensazione (un investimento intellettuale ed economico che andrebbe premiato di per sé) con l’opera “Miseria e nobiltà” (repliche fino al primo marzo), ispirata alla commedia di Scarpetta, ma collocata nel giugno del 1946, è frutto del lavoro compositivo di Marco Tutino mentre libretto e sceneggiatura sono di Luca Rossi e Fabio Ceresa (un trio che ha già lavorato con successo nella trasposizione operistica de "La ciociara").
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Grazie al gradito dono di un abbonamento all’opera da parte di un’anziana amica di famiglia ho avuto la possibilità di andare a vedere una serie di opere di cui per essere del tutto onesto non mi sarei scomodato a pagare il biglietto. La prima è stata l’Iris di Mascagni – e la mia idea che non valga i soldi del biglietto ne esce immutata. Domenica scorsa è stato il turno della Fanciulla del West di Puccini – un autore che per qualche motivo ho sistematicamente sottovalutato, e per quanto la resa sia stata tutto men che perfetta, l’opera è senza dubbio una di quelle che val la pena di vedere, tanto per il suo innegabile valore musicale, quanto per degli interessanti aspetti nella caratterizzazione dei personaggi.
Ritorno di un grande classico (non era rappresentata dal 2005) al Carlo Felice di Genova con la Norma (repliche fino al 31 gennaio). Frutto del grande genio di Vicenzo Bellini (libretto di Felice Romani), stroncata alla sua prima assoluta e poi, dopo quel primo inciampo (o complotto come suggerisce qualcuno), da allora ed ancora oggi una delle opere più amate e per questo forse più difficili da rappresentare.
Siamo nel 1831 ed un Bellini già affermato (qualche anno prima alla sua Zaira era stata affidata l'inaugurazione del Teatro Ducale, oggi Regio, di Parma) con coraggio mise insieme sggestioni già sperimentate da altri. Le sacerdotesse, il dramma del confronto tra culture, l'amore proibito erano tutti temi già sviluppati nei primi decenni dell'800 ed in fondo eterni. Il merito di Bellini (e di Romani) è stato quello di fonderli conferendo alla Norma una energia nuova che la rende diversa da ogni altra opera. Un'opera, la Norma, che non è soltanto belcanto: dentro c'è il mondo barbarico che tanto affascinò i romantici, c'è la luna, il bosco ed i culti misterici, c'è la sensualità e la gioventù sempre ricercate.
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Si racconta che Lee Van Cleef, durante le riprese di “Il buono, il brutto, il cattivo”, si trovava estremamente a disagio nella scena in cui il personaggio che interpretava, il sociopatico assassino Sentenza, picchia una prostituta, interpretata da Rada Rassimov. Questo disagio rendeva la scena assolutamente non credibile, al punto che la Rassimov stessa dovette incitarlo a picchiarla in maniera più convincente; la versione finale della scena in questione non mostra nulla delle riserve di Van Cleef. Questo significa che Van Cleef sia riuscito ad essere un uomo violento, o che “Il buono, il brutto, il cattivo” sia apologetico nei confronti della violenza sulle donne? No. Significa semplicemente che Van Cleef era un ottimo attore, che è riuscito ad interpretare una scena credibile di un ottimo film tenendone fuori il suo disagio personale.
Dopo l'apertura della stagione con il musical “West Side Story” sono tornati mercoledì al Carlo Felice di Genova (con un'ottima presenza di pubblico) la grande lirica e l'immenso genio di Verdi con Il Rigoletto, opera non rappresentata nel capoluogo ligure dal 2013 (repliche fino al 29 dicembre) e forse uno dei più noti lavori della coppia Verdi-Piave.
Il soggetto è tratto da una sfortunata tragedia di Victor Hugo, Le roi s'amuse, storia di un re libertino (Francesco I) e colpita per questo dalla censura di una Francia tornata monarchica. Analogo destino stava per cogliere anche l'opera verdiana se non fosse intervenuto un provvidenziale, e tutto sommato marginale, cambio di tiro: il re diventa un duca, la Francia diventa la Mantova dei Gonzaga ed i severi censori austriaci concedono il via libera al libretto di Piave (la prima assoluta si terrà proprio, nel 1851, nella Venezia asburgica).
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