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La caduta dei giganti: maestri inglesi viola di rabbia
Lo aveva detto mister Pochettino prima della partita: “Giocheremo in un ambiente caldissimo. I tifosi della Fiorentina fanno paura”. Il timore del manager degli Spurs si è concretizzato al momento dell’entrata in campo della sua squadra per il riscaldamento, quando si sono ritrovati davanti una muraglia di sciarpe e bandiere viola che ha rumoreggiato intensamente per tutta la partita. Si parla troppo spesso di stadi vuoti, tifosi disinnamorati, ma la sera del 26 febbraio si è confermata l’esistenza di alcune eccezioni all’interno del calcio italiano oramai in crisi da troppo tempo.
A sinistra e contro l’austerity, in Toscana alle urne con la lista unitaria.
Sinistra in Toscana. Con una sola lista unitaria in aperta concorrenza al renzianissimo Pd locale. Con l'obiettivo di passare più che agevolmente il quorum del 5% ed entrare nella futura assemblea regionale – di soli 40 consiglieri – con un numero di eletti sufficiente per dare battaglia politica contro un'azione di governo sempre più allineata alle direttive nazionali. La decisione, che assicura tre mesi di tempo a una campagna elettorale appassionante, è stata presa insieme da Sel e dai comitati dell'Altra Europa, Rifondazione comunista e numerose liste di cittadinanza, Pcdi e Sinistra Anticapitalista. Insieme: “In alternativa all’austerity e alle politiche liberiste, per un’Europa e una Toscana dei diritti di tutti e dei beni comuni”.
Storicamente parlando, che gli italiani e le questioni internazionali non siano mai andati troppo d’accordo è risaputo. Dalla disfatta nei Balcani durante la Seconda Guerra Mondiale alla figura fatta davanti alla sinistra di tutto il mondo permettendo che Ocalan venisse imprigionato alla vicenda dei due marò: non siamo mai riusciti ad elaborare una politica estera lineare che non fosse succube di quella atlantica e che ci ha provato, sempre mandando un occhio indietro nella storia, non ha fatto una bella fine.
Il governatore della Prefettura di Okinawa Takeshi Onaga ha ordinato, lo scorso 16 febbraio, al locale ufficio del Ministero della Difesa lo stop ai lavori di posa di blocchi di cemento nelle acque del distretto di Henoko, prime opere necessarie alla realizzazione della nuova installazione militare statunitense. L'autorizzazione della Prefettura, per quanto concerne la posa di opere in mare, è obbligatoria.
L'ex liberal-democratico, da tempo impegnato nella battaglia contro la nuova base militare, una volta di più mette i bastoni fra le ruote all'Amministrazione statunitense (ed a quella del proprio Paese) nella speranza che il progetto sia, prima o poi, accantonato.
A Torino il 18 febbraio 2015 abbiamo visto tutta la potenza retorica di un governo che, per stessa ammissione di Sergio Marchionne nelle sue dichiarazioni dello scorso ottobre, è stato scelto dal mondo padronale per eseguire diligentemente i loro ordini. Dalla visita mattutina ad Alba dove si sono svolti i funerali di Michele Ferrero (un "padre della patria" con la residenza in un paradiso fiscale, come l'ad di FCA insomma) all'incontro coi vertici dell'ex azienda automobilistica torinese e al Politecnico, abbiamo assistito alla medesima narrazione.
Tra uno sperticato elogio dell'"imprenditore progressista" e del "capitalismo dal volto umano" che antepone la persona al profitto, in cui "la fabbrica fosse per l’uomo e non l’uomo per la fabbrica”, si è passati con disinvoltura all'esaltazione del peggior capitalismo predatorio, ossia al modello Marchionne, quello che punta la pistola alla tempia della persona che lavora in fabbrica. Se il Presidente del Consiglio ha subito dichiarato di essere "gasatissimo dai progetti di Marchionne", arrivando a fare battute di spirito del tipo "supereremo la Germania nella produzione manifatturiera", non altrettanto euforica è stata la reazione della cittadinanza che ha contestato il Presidente del Consiglio che, finalmente, si è degnato di metter piede a Torino (ricordo il vertice dello scorso 11 luglio rinviato all'ultimo). Inutile dire che l'inquietudine di quanti erano fuori dal Politenico a manifestare dietro allo slogan "il vostro profitto, il nostro sfruttamento" ha maggiori fondamenti di quanti il nostro premier non voglia lasciar intendere. Un dato su tutti riguarda la produzione industriale che ha perso complessivamente, tra aprile 2011 e novembre 2013, il 10,9 per cento, una caduta assai più lunga (31 mesi) che in passato e più ampia rispetto a quella osservata in molti tra i partner dell’Uem.
Se la produzione manifatturiera italiana risulta falcidiata, bisogna però chiarire che il dramma non è solo nostro, bensì europeo. Infatti, come riporta il rapporto Istat "se la Germania, pur ancora al di sotto dei massimi toccati quasi sei anni fa, è l’unico paese ad avere recuperato quasi pienamente i livelli produttivi precedenti la crisi. Sul versante opposto, spiccano le flessioni dei paesi mediterranei: Italia e Spagna hanno perso, rispettivamente, quasi un quarto e un terzo del prodotto industriale rispetto ai livelli pre-crisi."
Così il confronto tra la Germania e l'Italia (invocato scherzosamente da Renzi) diventa impietoso e, per dirlo con le parole dell'Istat: "evidenzia un progressivo e continuo ampliamento del differenziale nella produzione industriale in senso sfavorevole al nostro Paese (Figura 1.3 del Rapporto Istat). Tale tendenza si è manifestata a partire dal 1997-1998 senza apparentemente risentire delle diverse fasi cicliche susseguitesi in tale arco temporale".
(Rapporto Istat 2014, Evoluzione ciclica del fatturato industriale e del fatturato in Italia ed Europa)
Siamo davanti al desolante quadro dell'ormai celebre Europa a due velocità, che per alimentare la locomotiva tedesca distrugge risorse in quantità enormemente maggiori rispetto a quelle che produce, concentrando gli effetti più nefasti proprio nei Paesi periferici, eppure qualcuno preferisce scherzarci. Si potrebbe far notare che abbiamo di fronte nient'altro che lo specchio continentale di un sistema produttivo attorcigliato su se stesso. Eppure più di dieci anni fa Gallino nel suo "La scomparsa dell'Italia industriale" (Einaudi, 2003) ricordava come in quarant'anni l'Italia sia arrivata a perdere quasi per intero la propria capacità industriale, che arriverebbe ad essere azzerata se dovesse cadere anche l'industria dell'automobile tutt'oggi appesa a un filo. Un Paese ridotto a delegare la sua politica industriale alle multinazionali predatorie, che rischia ormai di essere collocato nella semi-periferia del sistema di valorizzazione del capitale che oggi agisce a livello mondiale entro flussi a elevata specializzazione. Così la retorica di Renzi, che ha fustigato le aziende che "non devono essere quelle della lagna ma della curiosità", sembra essere totalmente dimentica che nessun paese si è industrializzato e mai lo farà senza il supporto dello Stato che fornisce quadri normativi certi, infrastrutture, commesse e condizioni favorevoli allo sviluppo. In quest'ottica il massimo dell'aiuto possibile sembra essere l'ennesima riforma del mercato del lavoro, e per dirla sempre con il premier: "le imprese non avranno più scuse per non assumere". Forse potrebbe non bastare, sarebbe infatti sufficiente tirare un'occhiata alla spaventosa restrizione del credito riscontrata dalla stessa Confcommercio (leggi qui) per capire che per l'impresa italiana il problema potrebbe non arrivare dal lato del lavoratore.
Barcacce e Barconi
“Il giro del mondo in 80 secondi”; non è la rivisitazione futuristica del capolavoro dell’avventuroso autore francese Jules Verne, è solamente l’intorno cronologico impiegato dai media di tutto il globo per mandare in scena in mondovisione lo scempio di Piazza di Spagna perpetrato da novelli barbari solo giovedì scorso come ricco e culturalmente impegnato (si fa per dire) antipasto del match di Europa League tra l’As Roma e il Feyenoord squadra di uno dei più importanti porti del mondo; Rotterdam.
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