Società

Società

Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.

Immagine liberamente tratta da upload.wikimedia.org

Giovedì, 08 Ottobre 2015 00:00

Le parole sono importanti

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Apri il Sole 24 Ore, il giornale dei padroni italiani per antonomasia, e vedi una foto di Giuseppe Di Vittorio.

Ti incuriosisci all’articolo e vedi che è Roberto Napolitano che inveisce, letteralmente, contro i sindacati che hanno fatto saltare il tavolo con Confindustria. Perché, stando a quanto dice Napolitano, Di Vittorio è stato un vero leader, uno audace, che ha sempre creduto nel dialogo e che ha fatto scelte controcorrente per il bene del Paese mentre oggi 'sta gentaglia che gestisce i sindacati ha addirittura “costretto alla rottura un imprenditore come Giorgio Squinzi che ha sempre creduto nelle relazioni industriali” e ciò ”vuol dire aver smarrito il senso della storia”.

Sabato, 26 Settembre 2015 00:00

Interporto di Bologna, Yooz e Mr. Job

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Operai ricattati, sfruttati, costretti a turni di lavoro massacranti, sottoposti a molestie sessuali reiterate sul posto di lavoro. Non siamo nei sobborghi inglesi del 1843 dove F. Engels colpito dalle condizioni lavorative della manodopera inurbata dalla rivoluzione industriale scrisse "La situazione della classe operaia in Inghilterra", bensì nell'ormai celebre interporto di Bologna, al centro di molte cronache sugli scioperi che costantemente colpiscono le cooperative che si occupano con molta solerzia di gestire la manodopera per le imprese che in questi anni, grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche, si dedicano alla massima virtù capitalista: tirar su lauti profitti in settori dove la domanda galoppa sulla pelle di lavoratori sempre più ridotti a bestiame da soma.

La rimodulazione dei parametri del nuovo calcolo dell’indicatore ISEE della situazione economica, in vigore da quest’anno, fa virtualmente sembrare più ricche, rispetto al calcolo precedente, molte persone e famiglie: questa la denuncia, rilanciata più volte nell’ultimo anno, di sindacati e associazioni di categoria. Diverse organizzazioni studentesche avevano paventato che uno degli effetti più macroscopici si sarebbe abbattuto sull’accesso all’università e alle borse di studio: molti studenti che fino all’anno scorso risultavano averne i requisiti economici, con il nuovo calcolo dell’ISEE ne avrebbero perso il diritto; mentre gli studenti che non avendo borsa di studio pagano le tasse universitarie, generalmente fasciate per reddito, se le sarebbero viste aumentate.

Giovedì, 10 Settembre 2015 00:00

Dal latino cum patheo

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In questi giorni stanno girando immagini sempre più dolorosamente lancinanti, agghiaccianti e persino disturbanti, della tragedia dell’immigrazione. Una delle più strazianti, che Il Manifesto ha anche scelto come foto sulla prima pagina, è quella di un bambino arenato sulla spiaggia, come un pesciolino sputato fuori dall’acqua. È a faccia in giù, il piccolo corpicino adagiato sulla sabbia, in una posizione così abbandonata e morbida che pare stia dormendo. E davanti il mare. Con le sue onde incessanti come gli cantasse una ninna nanna liquida. Ma quel bambino non si sveglierà mai più, le stesse onde che ora arrivano ad accarezzargli e lambirgli alcune estremità del corpo sono le stesse che ne hanno interrotto la vita. Tutte queste morti, tutte le morti in mare o per soffocamento in spazi microscopici in cui queste persone vengono stipate come topi perché non hanno abbastanza soldi per comprarsi il posto “in prima classe” nella parte superiore dell’imbarcazione sono di una drammaticità allucinante. Se esiste una forma adatta ad esprimere il dolore di queste traversate, di questo viaggio costantemente in troppo precario e vertiginoso equilibrio tra la vita e la morte, di un’esistenza ferita dalle bombe, dalle persecuzioni, dalla miseria, forse questa forma è quell’urlo disperato di una donna siriana che aveva appena appreso della morte del figlio. Un urlo che ci ha fatto venire i brividi, forse, mi auguro, anche al leghista più radicale.

Di Luca Onesti

Fuga o ricerca di innovazione? Sguardi multipli sugli italiani a Londra.

Si parla di 500 mila in una città da 8 milioni e mezzo di abitanti, ma i numeri sono solo approssimativi. Se gli iscritti all’Aire, il registro degli italiani residenti all’estero, ne conta 85 mila a Londra e 220 mila nel Regno Unito, il numero di italiani che vi risiede di fatto, senza iscrizione, è molto più alto. E in crescita continua. Secondo l’Office for National statistics lo scorso anno si sono registrati 44 mila nuovi arrivi, il 66% in più rispetto all’anno predente. Ed è un fenomeno che riguarda anche altri paesi in difficoltà economica dell’Europa del sud, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia innanzitutto, ma anche la Francia.

Londra però, rispetto ad altre capitali europee, dove pure c’è una crescita degli arrivi italiani, esercita un’attrazione maggiore. L’apprendimento dell’inglese è uno dei motivi principali: anche solo un corso estivo di alcune settimane può far scattare in un giovane la voglia di fermarsi, cercare lavoro, reinventarsi una vita a Londra. E poi ci sono i programmi di volontariato europeo, il programmi di scambi di studio come l’Erasmus e tutte le sue varianti, i programmi di praticantato post laurea, come il Leonardo, ma non solo. Molti italiani scelgono di integrare il proprio percorso di studi a Londra, con corsi di laurea, master e dottorati. La crisi delle università italiane, che stanno conoscendo un calo delle iscrizioni negli ultimi anni, favorisce la percezione, tra studenti e genitori, che ad esempio un master nel Regno Unito sia meglio spendibile in un mercato del lavoro che si fa sempre più difficile, e che ormai ha creato in Italia un blocco in entrata, vista la enorme disoccupazione giovanile. Ma la prospettiva, terminati gli studi, spesso è quella di rimanere all’estero e non tornare in Italia, dove quegli studi non verranno valorizzati appieno.

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