Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.
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Verguenza
Riapre i battenti la stagione sportiva, per lo sport più seguito nel mondo, nuovamente ai nastri di partenza con l’inizio di tornei nazionali e coppe internazionali. Il calcio sport con una missione sociale notevole (troppo spesso lo dimentichiamo) torna a prendersi la scena. È inutile, forse banale ricordare però la perdita di valori presenti all’interno di questo sport. Caduta libera direttamente proporzionale al giro dei soldi aumentato, vertiginosamente, in questo sport nell’ultimo trentennio.
La cornice che racchiude lo sport del pallone non è bellissima: oltre all’annoso caso della violenza negli stadi (fattore esasperato da intromissione di frange delle ultradestre nazionali all’interno delle curve), ogni anno viviamo di scandali differenti come calcioscommesse e partite truccate per favorire l’una o l’altra squadra.
Anche gli organismi governativi del calcio non sono esenti da colpe. Al netto di pubblicità che invitano al rispetto e alla correttezza infatti, un organismo sportivo ma anche (e soprattutto) politico come la Fifa mostra il suo lato peggiore condito dal malaffare e dalla corruzione, elementi disdicevoli che in prima fila vedono protagonista l’ex presidente; Sepp Blatter.
Rimanendo in ambito continentale, in Europa l’organismo di governo del calcio, la Uefa (presieduta da Platini ndr) non è sicuramente di meno in quanto a figuracce. Tralasciando il discorso sul Fair play finanziario, mezzo poco utile a mi parere per pervenire gli eccessi e le speculazioni di presidenti dal portafoglio infinito ingigantito dai petro-dollari (o petro-rubli) il problema, se mi è concesso, si sposta sul lato della discriminazione. “No To Racism”, slogan che campeggia ovunque all’interno delle kermesse della Uefa, dalla Champion’s League alla Europa League, il problema è la vera “applicazione” di una frase, all’apparenza così pregna di significato. I casi non sono isolati, a testimonianza di un mal costume e di ignoranza recondita nel giudicare problematiche politiche europee.
Qualche hanno fa fu la volta dei tifosi scozzesi del Celtic, multati per avere esposto durante una partita europea l’effige di Bobby Sand dal Nordstand di Celtic Park. Bobby Sands personaggio celebre ed eroe dell’indipendenza irlandese. I tifosi del Celtic legati storicamente alla terra color smeraldo, subirono infinite critiche e l’Uefa ( in linea con politiche europee di repressione ) multò pesantemente la squadra bianco-verde di Glasgow. Pochi mesi fa è stato il turno del Barcellona, con una sentenza e una multa arrivata nell’ultimo mese. L’antefatto è il palcoscenico europeo calcistico più importante, la finale di Champion’s League a Berlino tra i catalani e la Juventus.
I blaugrana incassano una multa salata dalla Uefa per le "esteladas" in mostra nell'ultima finale di Champions League.
La Corte Disciplinare della UEFA ha deciso di sanzionare con 30.000 euro di multa il club a causa della presenza, ritenuta "eccessiva" dalla confederazione continentale, delle bandiere catalana. Non è piaciuta l’“ostentazione” di identità e la Uefa rifacendosi all'articolo 16 del proprio statuto motiva la propria punizione così: "l'uso di parole od oggetti per trasmettere qualunque messaggio che non riguardi lo sport, e concretamente quelli politici, ideologici, religiosi, offensivi o provocatori".
Provocatori? Offensivi? Da tempo immemore ho constatato in curve e altri settori le apparizioni di simboli chiaramente legati al nazi-fascismo; dov’è in questo caso l’applicazione dell’articolo 16 ( per fortuna per il caso della svastica di Italia-Croazia si è intervenuti ndr)?
Il Barcellona ha rischiato pene anche più severe, poiché è prevista fino alla chiusura dello stadio ma qualcuno negli uffici di Nyon si è mai chiesto cosa sia veramente diffamatorio e offensivo? Il mondo del calcio è malato, da tempo e la soluzione che spesso viene data alla problematiche dirimenti è quella di reprimere comportamenti più o meno distesi e lasciare scivolare invece il più delle volte situazioni disdicevoli.
Se il calcio è un veicolo sociale, che lo sia fino in fondo, senza dietrologie e altre trame. Il pallone che rotola ha fatto innamorare generazioni su generazioni, lasciamo che la passione sia libera di seguire il verde di un prato.
La fine del sogno cosmopolita dell'Europa
C'era una volta chi professava l'idea che l'Europa fosse lanciata verso la costruzione di una forma sovra-nazionale di cosmopolitismo democratico. Si adduceva a sostegno di questa tesi che il progetto di integrazione europea fosse fondato sulla libera scelta di adesione dei suoi membri e tramite modalità che, per loro natura, implicavano forme di rispetto dell'alterità e riconoscimento reciproco delle differenze. Ulrich Beck ed Edgar Grande, nel loro "L'Europa Cosmopolita" (2006) partono dalla rivisitazione del concetto politico di impero, con l'intento di applicarlo nella spiegazione delle dinamiche contemporanee dell'Unione Europea. Rispetto agli Stati Nazionali le cui logiche l'Unione vuole superare, l'impero è una categoria politica che si addice maggiormente all'Europa in quanto si caratterizza, fra le altre cose, per la diversità socio-culturale, per un ordine della sovranità asimmetrico (centro/periferia, paesi membri con diversi status) e per disporre di confini flessibili e aperti, dato che a muovere l'impero è la logica della espansione illimitata. Diversamente però dalle forme imperiali tradizionali, "questo impero europeo non è legato (come gli imperi del XIX secolo) all'innalzamento dei confini e alla conquista, ma alla caduta dei confini nazionali, alla libera volontà, al consenso", cioè a un'espansione democratica e basata sulla libera volontà di adesione di chi ne vuol far parte.
Rudy: “Come… qual è il 14esimo emendamento?”
Paul: “Lo Stato non può applicare alcuna legge che limiti privilegi o immunità a un cittadino.”
Avv. Washington: “Né può negare a qualsiasi persona, entro la sua giurisdizione, l’eguale protezione delle leggi.”
Rudy: “E cosa significa?”
Avv. Washington: “Significa che devono trattarvi come qualsiasi altro figlio di putt*na in questo stato.”
Da “Any Day Now”
Ieri sera alla televisione sono incappata in un’ottima pellicola indipendente americana, che non conoscevo affatto, ma che offre stimoli molto interessanti e ancora attuali. Il film, diretto da Travis Fine e che è stato presentato, ottenendo un buon successo all’edizione del Giffoni Film Festival 2013, si intitola “Any day now” ed è tratto da una storia vera, accaduta negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70.
Cocoricò chiuso per quattro mesi: 120 giorni di silenzio basteranno a mettere a tacere il problema droga?
Il tempo è un'invenzione maledetta. Nasciamo con l'idea che tutto debba avere un tempo prestabilito. Così se entro un anno non parli, ti guardano storto. Sei in ritardo. Come se fosse scientificamente necessario dire mamma entro dodici mesi. Cresci e le cose non migliorano. E così a 18 anni devi prendere la patente, entro i 25 una laurea (dipende dai casi) e magari prima dei trenta trovare un consorte. Ci sono tempi entro i quali devi rientrare, altrimenti ti guardano storto, proprio come quel bambino che a un anno non diceva ancora mamma.
Forme architettoniche postmoderne aggressive ed esuberanti, spaziosi pavimenti dai colori sgargianti, altissimi soffitti con maestose volte d’acciaio e vetro, in un incontro continuo fra terra e acqua, oriente e occidente, è quello che si presenta agli occhi dello spettatore che non può non rimanere incantato di fronte alla abbagliante magniloquenza e ai continui richiami retro-futuristi del Dubai Mall, inaugurato sei anni fa nel cuore della città degli Emirati. Si tratta del più grande centro commerciale al mondo per superficie totale, uno sconfinato spazio contenente 635 negozi, un hotel con 250 camere di lusso, 22 schermi cinematografici e 120 fra negozi e ristoranti che, pur nella loro smisuratezza, impallidiscono al cospetto dell’enorme acquario e zoo sottomarino del mall, con i suoi 10 milioni di litri d’acqua e le centinaia di specie marine contenute o di fronte al grandioso parco tematico SEGA Republic, dedicato ai videogiochi della celebre casa produttrice giapponese.
Negli anni ’60 circolava una canzone: La Ninna Nenni. Il brano, che si rifaceva alla Ninna nanna della Guerra di Trilussa, prendeva in giro il primo centro-sinistra giocando sul nome di Nenni e di altri esponenti socialisti di quei tempi, ho cercato di aggiornarla all’epoca nostra e alle nostre vicende.
Ovviamente prendetela per quello che è, soprattutto dal punto di vista della rima.
State allegri o sfruttati!
Che a sinistra son cessati
scontri, liti, divisioni,
scoramenti e abbandoni,
che sarà fatta cosa egregia:
tutti uniti come in Grecia.
non è più tempo d’ammuina
perché ora c’è Fassina
e il buon vecchio Civati,
già del Renzi ex fidanzati.
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