Società

Società

Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.

Immagine liberamente tratta da upload.wikimedia.org

Venerdì, 06 Novembre 2015 00:00

Antieconomia

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Confesso che ho scarse conoscenze di economia. La mie informazioni in materia si limitano alla lettura di qualche libro di storia economica di Carlo Maria Cipolla, a pochi altri testi di natura strettamente divulgativa e agli articoli pubblicati di volta in volta sui diversi organi d’informazione.
Ho fatto questa premessa per scusarmi in anticipo con i lettori de Il Becco che al contrario hanno una maggiore e più estesa cultura economica, i quali potrebbero accusare le mie considerazioni e i miei dubbi di ingenuità nel migliore dei casi, di ignoranza della materia nel peggiore.
In breve il fatto è questo!

Essere stranieri, essere cittadini: un percorso tra nazionalismo e rivendicazione

Quando si parla di migrazioni si parla di flussi, quasi a muoversi fossero correnti e non persone. Si parla di emergenza, come se si parlasse di un fenomeno nuovo, imprevedibile, mai successo nella storia dell'umanità. E si parla di immigrati, come se la loro vita abbia valore solo dal momento che sono sbarcati in Europa.
Tramite questi discorsi (e non solo!) le persone migranti vengono disumanizzate, viste come un tutt'uno omogeneo, un nemico che minaccia l'ordine costituito; questa “massa” porta malattie, dall'ebola alla scabbia, porta terroristi pronti a far stragi nella nostra terra e la loro semplice presenza è una minaccia alla cultura e alla religione autoctona.
Questi ragionamenti purtroppo non sono solo chicchere da bar, ma hanno una rilevante valenza simbolica che interessa non solo il discorso pubblico ma anche la sfera politica e giuridica della società; liquidarle come idee xenofobe, dettate dall'ignoranza e dal populismo potrebbe risultare controproducente, in quanto così facendo si rischia di sottovalutare i rischi che comportano.

Venerdì, 23 Ottobre 2015 00:00

Processi resistenti

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Processi resistenti

Quando i Pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino hanno concluso la seduta dell'aula torinese con la sentenza ben scandita (“il fatto non sussiste”) , un grande urlo di giubilo si è alzato dalle platee del tribunale piemontese, collegato idealmente con le reti mediatiche e con i luoghi di socialità. Tutti contenti, tutti convinti che quel processo sia stato nel complesso un'ingiustizia, una vergogna per uno stato che si definisce democratico. Pensare infatti che personaggi arcinoti come Silvio Berlusconi dicano esplicitamente in pubblico: “Se mi arrestano, spero che abbiate il coraggio di fare una rivoluzione”, mentre personaggi come lo scrittore napoletano rischino la galera per molto meno e per delle dichiarazioni quasi banali per chi ha fatto della lotta uno dei punti della propria vita, fa quantomeno sorridere e riflettere. Riflettere perchè oggettivamente siamo di fronte a un'ottima notizia dal punto di vista della libertà di espressione, in un momento difficile per la democrazia stessa costantemente in pericolo tra una riforma della costituzione e un parlamento sottomesso completamente al volere dell' ex sindaco di Firenze.

Lunedì, 19 Ottobre 2015 00:00

Dove sono i nostri?

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Dove sono i nostri?

Dove sono i nostri? Ci potremmo chiedere: i nostri chi? Quando si parla di sinistra italiana una domanda del genere sorge spontanea. Nell'epoca della feroce frammentazione sociale, della mobilità insensata, degli esodi tragici di gente espulsa da territori devastati dalla violenza e dalla guerra non possono che attecchire derive pratiche e teoriche, di ogni genere. Non è più chiaro cosa si intende quando si parla di “umanità”, umanità dell'”uomo”, non è più chiaro cosa per noi possa significare “restare umani”. Tuttavia molti sono gli slogan che rivendicano una tale necessità, rivelatori di un senso che permane, un senso ragionevole che ancora indica come dovrebbero stare le cose.

O tempora o mores. I beni (?) culturali al tempo del renzismo

Il grandissimo e compianto artista e autore colombiano, naturalizzato messicano, Gabriel Garcia Marquez scriveva anni orsono un romanzo destinato ad un grandissimo successo: “Amore ai tempi del colera”.

Premesso che la trama di questo best-seller per nulla si lega all’argomento ivi trattato, il titolo è un rimando quasi ad un epoca che fu, un’epoca che, per svariati motivi, nessuno (si spera) ricorderà con favore. Quante volte all’interno di saggi, articoli, convegni o banalissimi talk show è stata sottolineata l’importanza per lo sviluppo del nostro paese dei beni culturali? Quante volte sentendo discorsi “da bar” (con accezione assolutamente negativa ) sentiamo dire “Ma si sfruttiamo i nostri siti e i nostri musei e tiriamo su un bel gruzzoletto?”

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