Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.
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Di Silvia D'Amato Avanzi e Joachim Langeneck
Da qualche tempo, i notiziari e i giornali ricamano sul “ritorno del lupo” attingendo sempre di più alle proteste degli allevatori che accusano i lupi di stragi di bestiame e portando alla ribalta le paure più o meno comprensibili di persone che non hanno mai conosciuto il lupo; troppo facilmente “soluzioni” come imbracciare il fucile o dare carta bianca alla caccia rimbalzano da una testata all’altra – di cui parleremo nel prossimo pezzo.
Di Silvia D'Amato Avanzi e Joachim Langeneck
Al lupo al lupo
La proposta di un “piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” da parte del Ministero dell’Ambiente si riflette in questi giorni in un acceso dibattito mediatico, con il moltiplicarsi di informazioni più o meno tendenziose e più o meno corrette sull’impatto del lupo nel territorio italiano e sulla necessità di misure gestionali. Diverse testate, soprattutto nelle edizioni locali, hanno dato spazio alle lamentazioni di allevatori il cui bestiame sarebbe stato colpito dai lupi; e, nell’allarmismo scandalistico per un presunto boom demografico di questi animali, non sono mancati titoli surreali come “Capriolo sbranato dai lupi”. L’apice è stato forse rappresentato da un servizio de “Le Iene” andato in onda il 16 febbraio scorso che, oltre ad amplificare le lamentele di singole persone timorose dei lupi, ha portato sullo schermo vere e proprie tecniche di bracconaggio, proponendole come “sistemi di difesa” dalle «migliaia di lupi» – secondo la trasmissione – che attaccano continuamente allevamenti e villaggi.
Ma quanto sono fondate queste polemiche? Quali sono gli effettivi termini del problema con il lupo?
Appresa la notizia che la Borsa di Milano in meno di un mese e mezzo ha bruciato un quarto del suo valore (oltre 140 miliardi di euro) bisognerebbe interrogare a fondo i nostri politici (anche europei, vedi le dichiarazioni di ieri di Dijsselbloem) e per prima cosa chieder loro conto di tutte le balle sparate in questo mese e mezzo sulla "volatilità". Infatti se c'è un crollo verticale dei valori azionari non c'è volatilità e incertezza, le due cose si escludono vicendevolmente a meno di non voler negare i numeri e la matematica.
Perdonatemi se torno a parlare di unioni civili e del Ddl Cirinnà, e mi scuso in anticipo se questo pezzo risulterà piuttosto ripetitivo. Il fatto è che ho un’impressione sempre più forte che sul tema dilaghi un’ignoranza aberrante, e che sia stata strategicamente messa ad opera una propaganda strumentale e depistante, che rischia di sacrificare sull’altare i diritti della persona. Mi riferisco in particolare a quello che è sembrato a molti il logico (?) e automatico (?) passaggio dalla step child adoption alla gestazione per altri (o di appoggio), detta brutalmente pratica dell’utero in affitto.
Due ruote che corrono. Ma verso Oriente. In un contesto in cui un’azienda leader come il gruppo Piaggio appare capace di aggredire i mercati. E di investire – in Italia – anche in ricerca e innovazione. Quando però i vertici del gruppo che comprende Guzzi e Aprilia devono decidere dove produrre, non guardano più al belpaese. Questo pensano i lavoratori impiegati negli stabilimenti italiani di Pontedera, Mandello del Lario (Guzzi), Noale e Scorzè (Aprilia), interpellati con un questionario distribuito dalla Fiom Cgil.
Dalle risposte degli addetti al questionario, rigorosamente anonimo, si sviluppa la fotografia di una grande azienda con la testa ancora a Pontedera, dove tutto è iniziato e dove il settore impiegatizio rappresenta non per caso il 30% dell’organico. Ma le catene produttive scivolano sempre più verso il Vietnam, l’India e la Cina, dove è impegnata la metà dei dipendenti del gruppo. E lo stato delle cose trova un riscontro nella percezione che del lavoro hanno gli addetti in Italia. Non è stata facile la ricerca promossa dalla Fiom, con la distribuzione di migliaia di questionari ai lavoratori del gruppo. Il sindacato ha potuto consegnarlo solo attraverso le portinerie, e non direttamente agli interessati. Che sono tanti: più di 2.000 a Pontedera, 550 all’Aprilia fra Noale e Scorzé, e 90 alla Guzzi a Mandello del Lario. Dai questionari raccolti, compilati e restituiti alla Fiom (circa il 40%), è emersa la preoccupazione dei lavoratori per il futuro. “La Piaggio è un’azienda che non punta sulla produzione italiana – riassumono Massimo Braccini, coordinatore Fiom del gruppo Piaggio, e il nuovo segretario provinciale Marco Comparini – è sana ma è governata con una filosofia per cui si preferisce distribuire dividendi, piuttosto che dare premi di produzione. Agli investimenti in ricerca non corrispondo investimenti industriali. E manca una discussione sul futuro del mercato delle due ruote, e sullo sviluppo per la riduzione dell’inquinamento”.
Dai questionari emerge che le relazioni fra i lavoratori sono buone (77% in media dei tre siti). Ma gli operai sono insoddisfatti della loro condizione (58%). La maggioranza (63%) ritiene basso il proprio stipendio, considera le norme sulla sicurezza rispettate solo in parte (58%), e che il lavoro non sia distribuito equamente (69%). L’insicurezza diventa generalizzata quando si affronta il tema di mantenere in futuro il lavoro: solo il 4% è sicuro di conservarlo, il 48% non ci crede. “Uno degli elementi che più è emerso è la ‘fame’ di formazione – spiegano Braccini e Comparini – i lavoratori non ritengono valorizzata la professionalità, o chiedono di acquisirne di più. Ma l’azienda li ignora”. A Pontedera il 30% degli intervistati segnala di non aver avuto formazione. Quanto poi alla percezione di come l’azienda risponde alla richiesta di formazione, per il 42% è limitata, per il 41% scarsa. La richiesta di corsi svetta invece con l’89%. In definitiva l’azienda non fa formazione, e questo fa paura: ben il 65% degli intervistati teme la perdita del posto. C’è sfiducia. Anche verso i sindacati, giudicati “insoddisfacenti” per il 79% dei lavoratori.
“Questo settore sul quale non si investe – tira la somme Braccini – è quello che fra un anno vedrà la fine degli ammortizzatori sociali tradizionali. Cig e mobilità, già strutturali, saranno sostituite dalla disoccupazione. Con tutto quello che comporta”. “Dobbiamo lavorare per recuperare fiducia e aprire una nuova vertenza – osserva a sua volta Comparini – l’obiettivo è saturare gli impianti e i volumi, perché oggi Piaggio è gestita con tre, quattro mesi l’anno in cui non si produce. Dobbiamo recuperare importanza produttiva. Anche per dare risposte alle aziende dell’indotto, dove la situazione è drammatica”.
La Costituzione trova casa. A Napoli.
Negli ultimi tempi sempre più spesso si è assistito a una totale svendita e “smobilitazione” dei beni pubblici, siano essi edifici o interi territori, a vantaggio di meri e speculativi interessi privati. È la piena applicazione della politica del “fare”, lo stesso modus operandi che sta cancellando (o almeno sta provando) a cancellare la Costituzione dello Stato. In un contesto piuttosto turbe e denso di nubi, la notizia giuntaci pochi giorni fa da Napoli non può far altro che ridare speranza a tutti coloro che negli anni hanno provato, e provano quotidianamente a battersi per i tanto bistrattati interessi collettivi.
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