Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.
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Via Garibaldi, Viale San Martino, Corso Cavour, Via Principe Umberto, Piazza Mazzini, Viale Vittorio Emanuele, ecc. ecc. Le strade, le piazze, i giardini e i luoghi urbani in senso lato, delle nostre città brulicano di nomi altisonanti ma, solamente il 4% di questi appartiene a donne. A guardare le tante targhe presenti nelle nostre città siamo tristemente costretti ad affermare che nonostante la storia pulluli di tante illustri figure femminili l’evidente sessismo caratterizza l’attuale onomastica urbana. Ne parliamo con Maria Pia Ercolini, fondatrice di “Toponomastica femminile” gruppo nato per impostare ricerche e pubblicare dati con l’obiettivo di fare pressioni su gli enti locali al fine di far intitolare le prossime vie alle donne che si sono distinte sul territorio tentando di colmare la loro assenza nel Paese e poter riscoprire le molte biografie femminili cancellate dalla storia per promuovere, anche in questo modo, la parità tra donna e uomo.
1) Maria Pia Ercolini, studiosa di geografia e fondatrice del gruppo” Toponomastica femminile”, come nasce l’amore per la toponomastica?
Mi occupo di didattica di genere e studio itinerari turistico-culturali alla scoperta delle tracce lasciate dalle donne. È stata una mia alunna, durante un’uscita scolastica, a osservare l’assenza delle intitolazioni femminili. Da allora è nata la curiosità e la ricerca personale.
C’erano tre cittadini. Il primo: Sergio Marchionne godeva dei suoi diritti di cittadino, il secondo: Felice Dalmasso godeva ugualmente di diritti, la terza: Annunziata Gargiulo godeva a sua volta di diritti.
Antonella Riotino (21 anni), Antonia Azzolini (66 anni), Sharna Gafur (18 anni), Elda Tiberio (93 anni ), Edyta Kozakiewicz (39 anni), Camilla Auciello (35 anni), Vanessa Scialfa (20 anni), Pierina Baudino (82 anni), Julissa Feliciano (26 anni), Jasvyr (32 anni), Carmela Petrucci (17 anni), Violeta Coriou (35 anni), Lisa Puzzoli (22 anni).
I nomi sopra elencati non sono opere di fantasia, raccontano di alcune delle allarmanti storie realmente accadute nel nostro paese, esprimono, ancora una volta, l’orrore di una mattanza silenziosa figlia del “dominio maschile sulle donne” quella che Bordieu sosteneva essere “la più antica e persistente forma di oppressione esistente.” Quasi certamente le donne sopra elencate non si conoscevano fra di loro, cosi come non le conosce la maggior parte degli italiani. Donne diverse per età, religione, cultura e retroterra sociali differenti, molto istruite o meno, benestanti o meno, ma gli inquietanti episodi che le hanno viste come protagoniste e che le legano indissolubilmente l’una a l’altra ricordano “A letto con il nemico”, un vecchio film con Julia Roberts che riassume una realtà molto più diffusa di quanto risulti nelle statistiche e che raccontano una barbarie che troppo spesso cerchiamo di ignorare.
Vedendo in questi giorni i litigi interni al Pdl si può pensare di vedere il massimo della comicità (e forse è vero), però c’è un’altra faccenda che attualmente sta rasentando il ridicolo: l’Ilva. Mentre siamo in attesa della decisione della Procura sul ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione, mi viene da fare un paio di riflessioni sul famoso decreto che ha “salvato” lo stabilimento. Esso presenta, a mio avviso, due problemi.
Il primo riguarda l’ennesima e stancante delegittimazione della magistratura. C’eravamo abituati a vederla nel nome dell’illegalità berlusconiana, adesso la vediamo nella veste montiana di necessità ed urgenza per far fronte alla grave crisi economica; sempre la stessa cosa rimane. Il conflitto di attribuzione è evidente, a tal punto che rasenta l’incredibile con l’art.1 comma 4, il quale dispone la possibilità di riprendere la produzione nello stabilimento, anche se esso si trova sotto sequestro da parte della Procura. Il tutto ha fatto sì, inoltre, che tutta la produzione post-sequestro e ante-decreto dello stabilimento (circa quattro mesi di produzione) sia stata dichiarata illegale. Per risolvere questa comica situazione il governo ha deciso di preparare un emendamento che affidi anche il prodotto illecito all’azienda, sottraendolo alle temibili toghe. Interessante che il Ministro Clini abbia più volte dichiarato di come la Procura si debba semplicemente attenere alla legge senza fare altro, correndo subito dopo ai ripari, con questo emendamento, per un errore di certo non imputabile alla magistratura. Ci sarebbe poi da dire qualcosa sulla dichiarazione in sé, cioè su come un ministro possa valutare la legittimità di un ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto d’attribuzione o la conformità alla Costituzione di una legge che egli stesso ha prodotto, ma andremmo fuori tema.
Le elezioni politiche sono ormai all'ordine del giorno nel dibattito italiano. I pensionati sono una categoria di elettorato a cui molti guardano con attenzione in termini di voto, non solo in Italia (qualcuno ricorderà la notizia, di non molti anni fa, del successo inaspettato del Partito dei Pensionati di Israele).
Carlo Fatuzzo è un politico italiano che nell'ultimo periodo è transitato da Berlusconi a Prodi (2006), per poi tornare nello schieramento berlusconiano. Il suo Partito Pensionati esiste dal 1987. Non rappresenta sicuramente la maggioranza di chi è uscito dal mondo del lavoro, però bene indica il peso di un tema che oltre a riguardare il Paese nel suo sistema economico si pone come questione elettorale.
I pensionati che si sono convocati in assemblea martedì 11 dicembre a Roma ne hanno coscienza. La piattaforma su cui si sono riuniti richiama un punto specifico: la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 10 ottobre 2012, con cui si dichiara "incostituzionale il blocco degli adeguamenti automatici previsti per i giudici ed i manager di Stato con stipendi superiori a 90.000 euro (art. 9 comma 22)", previsto invece dallo stesso decreto (78-2010) che "blocca anche le pensioni". Si ritrovano quindi per chiedere che lo stesso principio richiamato a tutela di chi ha stipendi elevati valga per i menu tutelati. La Costituzione non può valere solo "per chi ha i soldi", sarebbe un ossimoro. Il punto specifico apre in realtà una riflessione più ampia sui pensionati. Si ha la consapevolezza di essere una delle categorie su cui più si insisterà nei prossimi tagli, giocando su due fronti: più lavoro a fronte di una diminuzione delle pensioni (su questo ha già fatto molto il Ministro uscente Fornero) e tagli al welfare (in particolare alla sanità).
Alla fine Bersani l’ha spuntata su Renzi con un margine di oltre venti punti percentuali, una vittoria prevedibile, ma non scontata. Per il vincitore non si è trattato di una passeggiata, il suo risultato è ben lontano da quelli plebiscitari di Prodi nel 2005: 3.182.686 voti (74,2%) e di Veltroni nel 2007: 2.694.721 voti (75,8%). Anche l’affluenza diminuisce, meno 1 milione e 200 mila votanti sul 2005, meno 500 mila votanti sul 2007, stabilizzandosi sui dati del 2009, poco sopra i 3 milioni di votanti, ulteriormente diminuiti nella votazione di ballottaggio del 2 dicembre 2012. Bersani, che aveva ottenuto nel 2009 la segreteria del Pd con il 52,3% dei voti, questa volta ottiene al primo turno il 44,9% e sale al ballottaggio al 61%, con un numero di voti che, inferiore di 230 mila al primo turno rispetto al 2009, supera al ballottaggio quel dato di 100 mila.
La vittoria di Bersani al ballottaggio è dovuta soprattutto alla confluenza sul suo nome di parte degli elettori che il 25 novembre avena espresso la loro preferenza a Vendola, Puppato e Tabacci, mobilitati più da motivazioni anti Renzi che pro Bersani; alla diminuzione dei votanti che ha finito per sfavorire il sindaco di Firenze, come ammettono numerosi osservatori; al peso dell’organizzazione che in larga parte, anche se non ovunque, pendeva a favore di Bersani; ad errori di comunicazione di Renzi, imputato di un eccesso di litigiosità e di aggressività nei confronti del segretario e dei suoi.
Comunque sia, le primarie, che sono state l’avvenimento politico centrale nelle ultime tre settimane, prima del "rientro di Berlusconi", e che hanno visto in ogni caso la partecipazione di oltre tre milioni di persone, meritano alcune considerazioni, per un’ulteriore riflessione che, a sinistra del Pd, dobbiamo saper compiere, non tanto sullo strumento in sé quanto sul come debba oggi organizzarsi ed operare nelle condizioni attuali una forza politica.
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