Società

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Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.

Immagine liberamente tratta da upload.wikimedia.org

Lunedì, 28 Gennaio 2013 00:00

Quel voto utile antidemocratico #2

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Permettetemi di soffermarmi un attimo su questo punto che noi stessi troppo spesso trascuriamo: e invece si tratta di riuscire a fare oggi una battaglia ideale e politica fra le masse simile, per ampiezza a profondità, a quella che i comunisti (e qualcuno di loro è oggi qui presente) seppero condurre vittoriosamente nel 1953 contro la “Legge truffa” tentata dalla DC. Diciamocelo subito: la “Legge truffa” è rose e fiori rispetto alle leggi elettorali che sono in vigore oggi: e si tratta di un punto davvero cruciale per la democrazia, cioè di decidere se il parlamento è “specchio del paese” – come diceva Togliatti –, cioè è il luogo in cui si può manifestare politicamente il conflitto fra le classi, oppure al contrario se il parlamento è un luogo in cui, a causa di leggi elettorali costruite apposta, le masse popolari non possono mai accedere nella loro autonomia politica, e debbono solo limitarsi a scegliere il meno peggio fra i loro padroni e nemici.

Giovedì, 24 Gennaio 2013 00:00

Quel voto utile antidemocratico #1

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Negli anni Novanta è stata portata avanti la disdetta unilaterale da parte capitalistico-borghese del grande compromesso democratico (voglio chiamarlo così) fra le classi e fra i popoli che aveva permesso all’umanità di battere il nazifascismo e di fuoruscire dalla seconda guerra mondiale, un patto che è rimasto scritto nella nostra Costituzione.

Il grande compromesso democratico di cui parliamo non era certo il socialismo, ma tuttavia prendeva atto della lotta di classe, le riconosceva il diritto a esistere e a dispiegarsi, e riconosceva alla parte proletaria, in Italia e nel mondo, la possibilità di svolgere il proprio ruolo, di difendere i propri diritti e di conquistarne di nuovi, di avanzare sul terreno sindacale e politico, nella democrazia.

Mercoledì, 23 Gennaio 2013 00:00

Anni di piombo (funerali di Gallinari)

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È certamente un caso che Prospero Gallinari sia nato a Reggio Emilia. Come certamente lo è che in quella provincia, come in tutta l’Emilia e la Romagna l’azione fascista prima, delle Brigate nere e nazista, poi la reazione degli agrari contro le lotte del movimento operaio e contadino siano state particolarmente violente negli anni venti e sino alla Liberazione. È certamente un caso che il 7 luglio 1960 cinque compagni iscritti al PCI siano stati ammazzati dalle forze dell’ordine durante una manifestazione contro la legge truffa di Tambroni e l’assalto fascista a Genova per il congresso del Movimento Sociale Italiano. È certamente un caso che tutti i poliziotti e carabinieri inquisiti siano poi stati assolti. E’ certamente un caso che negli anni ‘60 Gallinari rompa, dopo quei fatti, con il Partito Comunista italiano.

Lunedì, 21 Gennaio 2013 00:00

La disuguaglianza produce malattia

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Il quadro proposto nell’articolo Sanità pubblica:diritti o logica dei numeri (leggi qui) è tanto inquietante quanto veritiero; per altro la competenza e la responsabilità per il ruolo ricoperto delle due autrici testimonia della serietà delle informazioni. Il tono allarmato ma non allarmistico è quindi assolutamente pertinente alla situazione descritta, compresa la possibilità di una valutazione politica e di “decisioni conseguenti” qualora l’impegno alla realizzazione di distretti territoriali forti non fosse realizzato e successivamente valutato rispetto all’effettivo bisogno.

Dopo le lotte importanti ed efficaci degli anni settanta, il popolo della sinistra solo di recente ha iniziato a dare il giusto valore alle questioni della sanità e dell’assistenza, laddove la priorità delle questioni del lavoro e del non lavoro, connesse a quelle dell’ambiente, hanno sempre avuto –giustamente- grande attenzione. Forse la situazione di crisi o, preferisco pensare, una effettiva maturazione, portano a dare il giusto peso ai temi connessi alla salute, alla qualità della vita dei singoli e delle famiglie. Intendo contribuire su questo tema riportando le conclusioni a cui sono pervenuti due studiosi americani, di cui darò successivamente i dettagli: “Considerando l’intera popolazione, nelle società contraddistinte da maggiore disuguaglianza i disturbi mentali appaiono cinque volte maggiori che nelle società dove la sperequazione dei redditi è più contenuta; analogamente, nelle società con maggiori disparità economiche c’è una probabilità cinque volte più alta di finire in prigione e una probabilità sei volte maggiore di essere clinicamente obesi, e anche i tassi di omicidio possono essere notevolmente più elevati. Variazioni così elevate si spiegano semplicemente con il fatto che la diseguaglianza non esplica i suoi effetti deleteri unicamente sulle persone meno abbienti, bensì sulla stragrande maggioranza della popolazione”.

La tesi dimostrata dopo anni di ricerche (più di cinquant’anni in due) in tutti i principali paesi sviluppati è che “è la diseguaglianza la madre di tutti i malesseri sociali. (…) Siamo infatti abituati a pensare che la crescita economica abbia l’effetto automatico di rendere una nazione più sana e più soddisfatta. Ma oggi non è più così, perché i malesseri generati dalla diseguaglianza coinvolgono tutti: non solo i ceti più svantaggiati, ma anche quanti si collocano al vertice della scala sociale”. Infine le conclusioni di prospettiva: “se si vuole avviare un nuovo ciclo di crescita che ponga al centro la qualità della vita e non solo il Pil, occorre intervenire immediatamente per ridurre la forbice sociale cresciuta a dismisura tra anni ottanta e novanta” ( La misura dell’anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici. R. Wilkinson, K. Pickett).

Fra i pesi studiati l’Italia è uno di quelli in cui le situazioni si aggravano con una sorta di impennata negli ultimi anni, quelli in cui si sono manifestati gli effetti di politiche di aziendalizzazione della sanità e di bisogno di assistenza non più coperto dalle famiglie, sempre più monocellulari e impegnate nel lavoro. Spaventa quindi la prospettiva indicata dalla Giunta della Regione Toscana che, nella delibera di indirizzi alle aziende sanitarie per il riordino del sistema sanitario regionale (del.1235 del 28.12.2012) pone l’obiettivo di “trovare una mediazione tra diritti e risorse” e afferma che “senza un pensiero di cambiamento sarebbe difficile costruire accettabili condizioni di equilibrio tra diritti e risorse…”.

Non è infatti chiudendosi all’interno del sistema sanitario e di protezione sociale che si può ricostruire equilibrio fra bisogno e risorse ma solo intervenendo sulla effettiva riduzione del bisogno, affrontando quindi il tema delle cause che generano il bisogno e il suo progressivo aumento: le diseguaglianze economiche. In questa prospettiva la questione salute interroga tutta l’azione politica e pone la riduzione della forbice sociale, l’aumento della mobilità sociale e relativo abbattimento della vischiosità sociale (ricordate Contessa? “anche l’operaio vuole il figlio dottore!”), la redistribuzione della ricchezza come processi indispensabili per migliorare le condizioni di salute e quindi abbattere la spesa sanitaria. Il rilievo dato dallo studio dei due epidemiologi al fatto che non solo i ceti meno abbienti ma l’intera popolazione di un paese, infine, segnala che non c’è niente di ideologico nel rivendicare la riduzione delle diseguaglianze economiche ma solo una intelligente valutazione dei bisogni e delle possibilità del paese, cosa che interpella certamente le forze politiche e le formazioni elettorali di sinistra ma anche i democratici, ai quali quindi anche il solo buon senso chiede di abbandonare pratiche di aziendalizzazione e di privatizzazione della sanità e della tutela sociale.

Immagine tratta da keepthemiddleclassalive.com/

Giovedì, 17 Gennaio 2013 00:00

La scuola al tempo del pensiero unico

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I Decreti Delegati avevano disegnato l'ossatura di una scuola democratica, la cui forma di governo era essenzialmente simile a quella repubblicana: il consiglio d'istituto era l'organo deliberativo per le politiche scolastiche; il collegio docenti per quelle didattiche e il preside eseguiva. Una formula nel tempo logorata dall'esaltazione dell'autonomia scolastica di stile manageriale che tuttavia non ne aveva minato l'esistenza.

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