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Il 6 di dicembre si festeggia in Finlandia il giorno dell'indipendenza, il che può essere una buona occasione per ricordare il più famoso compositore finlandese, esponente di primo piano di quel romanticismo nazionalista che aveva le sue radici nel lavoro di Lonnrot, insieme a lui assunto a simbolo dell'identità nazionale. Nato nel 1865 e morto nel 1957, Jean Sibelius, oltre a vedere la sua Finlandia indipendente, ha attraversato buona parte della storia e della cultura musicale del tardo romanticismo e poi del modernismo, elaborando uno stile che, pur debitore inizialmente della grande tradizione romantica tedesca e russa, sopratutto di Tchaikovsky, riesce a svilupparsi in modo molto originale e a rappresentare una delle più convincenti alternative alla seconda scuola di Vienna.
Ricordo distintamente il mio primo concerto al Tender. All’epoca si chiamava Synthetica, un ottimo posto per esibizioni dal vivo tanto allora quanto adesso. Avevo 16 o 17 anni, era un giovedì sera e suonava un gruppo americano semisconosciuto, ma molto valido. Fortunatamente, da allora il posto non è cambiato molto, riuscendo sempre a coniugare l’alta qualità delle proposte musicali con il prezzo modico dei biglietti.
Ne è ulteriore dimostrazione il concerto di sabato scorso: ad esibirsi sono i Fauns di Bristol, uno dei migliori gruppi shoegaze in circolazione. Il Tender apre alla grande la terza stagione con una band che si è costruita negli anni, e nel giro di soli due album, una certa reputazione internazionale, almeno negli ambienti indie.
Still, uscito il 17 Ottobre scorso per l’etichetta Ghost records, è il sesto disco in studio per la Casa del Mirto, progetto fondato dall’italo-finlandese Marco Ricci. Pressoché unica nel panorama italiano, la proposta musicale del gruppo trentino richiama quella scena cosiddetta glo-fi o chillwave, portata alla ribalta, sul finire degli anni zero, da gruppi quali Memory tapes, Neon Indian e Washed out e che si fonda su sonorità nostalgiche e sognanti, dai ritmi sincopati di beat elettronici rallentati di scuola wave, delicati come ramoscelli esposti al vento e polverosi come vecchi nastri abbandonati troppo a lungo su qualche scaffale della soffitta.
Sir John Eliot Gardiner e Maria João Pires sono due artisti che hanno varie cose in comune: la loro dedizione al lavoro, l'essere schivi e scevri da ogni forma di narcisismo, una particolare attenzione a non indulgere in quel pathos gratuito di cui possono essere vittime anche i migliori direttori e pianisti; ma sopratutto sono accomunati da una grande attenzione all'esattezza esecutiva del loro repertorio di riferimento. In questo disco si ritrovano insieme ad affrontare due autori che invece nell'immaginario degli ascoltatori tanto simili non sono: l'irenico Mendelssohn, così attento all'appropriatezza, sia nella vita privata che nella musica, e Schumann il visionario, il rivoluzionario, il folle. Eppure entrambi rappresentano il momento più alto del primo romanticismo tedesco, e là dove Schumann ha innovato nella forma e nella concezione pianistica e sinfonica, Mendelssohn ha creato un mondo nuovo nel colore e nei timbri dell'orchestra, nella vividezza dell'inventiva, nell'immediatezza dell'evocazione quasi paesaggistica, che così tanto avrebbe poi influenzato l'immaginario romantico, senza mai rinunciare alle forme classiche, lui che forse è stato il più “mozartiano” dei compositori.
Nell’olimpo dei grandi poeti della musica popolare nordamericana insieme a Bob Dylan e Neil Young, Leonard Cohen ha rappresentato il lato più esistenzialista ed introspettivo della grande tradizione cantautorale. Laddove in Dylan il conflitto è fra un popolo di ultimi e reietti contro una società spietata ed emarginante e in Young fra la compagna, simbolo di pace e armonia, e l’urbanizzazione modernista espansionistica e crudele, in Cohen il conflitto è tutto interiore all’essere umano, ai suoi turbamenti religiosi e morali, alle sue contraddizioni e paure, alle sue pulsioni, ai suoi desideri, alle scelte sbagliate e ai rimorsi come ai ricordi felici e agli incontri inaspettati.
Il nuovo Popular Problems esprime al meglio la filosofia coheniana e vive delle immagini prodotte dalle sue parole, un microcosmo di dolori, gioie, speranze, delusioni. Tutti stati d’animo personali che in Cohen acquistano però sempre una dimensione collettiva, finendo per esprimere in fondo quelli che sono i problemi che condividiamo e ci accomunano con tutti gli altri. La grandezza di Cohen sta proprio nell’universalizzare in questioni metafisiche e morali, situazioni individuali.
“Tomorrow's Modern Boxes”: per una valorizzazione del prodotto musicale. Firmato Thom Yorke.
Un nuovo album solista e un nuovo esperimento di distribuzione: Thom Yorke entra a gamba tesa nell'autunno musicale e affronta la caducità caratteristica di questa stagione con un'uscita inattesa, “Tomorrow's Modern Boxes”, che rivela fin dall'artwork della cover le linee essenziali di questa produzione, un ammicco a un waste land contemporaneo entro il quale non smettere mai di apporre una cifra personale, di praticare la sperimentazione.
Ad un primo ascolto si direbbe piuttosto che all'interno di questi scatoloni predisposti per il futuro ci sia un compendio di tante sonorità che hanno caratterizzato gli ultimi 4-5 anni di bass & club music: dall'elettronica più strumentale alle tracce di oscurità targata Berhghain, passando per ballads per synth and lyrics dai confini meno definiti, l'eco delle produzioni passate, sia per quanto riguarda la carriera solista sia quella come front-man dei Radiohead è viva e messa a valore attraverso una scelta vocale sempre equilibrata e calzante.
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