Le varie forme de "sapere", che cerchiamo di organizzare tra divulgazione scientifica (cliccando qui), scienze umanistiche (cliccando qui) e scienze sociali (cliccando qui), sfruttando le pur discutibili suddivisioni del nostro sistema accademico.
Immagine liberamente tratta da pixnio.com
Articolo di Daniele Coltrinari e foto di Luca Onesti, sosteniamopereira.blogspot.it
Antonio Tabucchi non l'ho mai conosciuto, non ho avuto questa fortuna, questo privilegio, a differenza di tante persone che sono state presenti all'anniversario a due anni dalla sua morte.
È stato un evento che si è svolto lo scorso 25 marzo, presso L'Istituto italiano di cultura di Lisbona. Un Istituto che conosco da tempo e che, oltre alle attività che svolge quotidianamente, propone mensilmente eventi, conferenze e dibattiti di ottimo livello. Faccio questa premessa in modo che nessuno possa strumentalizzare quello che sto per scrivere: chissà se Tabucchi non sarebbe dispiaciuto della poca presenza “giovanile” durante il suo secondo anniversario.
Via dei Conciatori è una stretta strada dietro alla più conosciuta piazza Santa Croce. La prima volta che ci sono andato avevo 17 anni, era l’estate del 2006. Tentai di iscrivermi a Rifondazione Comunista. Senza successo. Avrei dovuto aspettare il dicembre dello stesso anno.
Nel 2012 sono stati sgomberati i locali occupati 32 anni prima da Democrazia Proletaria e dai marxisti leninisti, di cui faceva parte Andrea Montagni.
Ho sempre vissuto quelle stanze in modo negativo, attraversate da continui litigi e da una fase discendente, che è passata per la Sinistra l'Arcobaleno e dura ancora oggi.
Nel libro “Le cinque bandiere” ricorrono costantemente protagonisti e luoghi (o eventi) che richiamano l'oggi.
Cercando la definizione di simbolo su un qualsiasi vocabolario di lingua italiana, il risultato sarà più o meno il seguente: “Elemento concreto a cui si attribuisce la possibilità di evocare un valore più ampio rispetto a quello che normalmente rappresenta”. Contestualizzando l'argomento nell'ambito della politica, emerge sin da subito la difficoltà nell'analizzare la complessa storia del simbolismo partitico. Sebbene la definizione di simbolo succitata si adatti perfettamente alla natura dell'iconografia politica, quella dei simboli dei partiti è una storia tortuosa e ricca di spunti per un dibattito non solo politico e sociologico ma persino antropologico.
Non fare filosofia per scherzo, ma sul serio; perché non abbiamo bisogno di apparire sani ma piuttosto di esserlo veramente.
Epicuro
Esatto. La filosofia non è uno scherzo, non è un passatempo per oziosi intellettualoidi che si divertono in malo modo perdendosi in sillogismi, ragionamenti, saggi e fenomenologie dello spirito. Forse tra gli amanti della filosofia ci sono anche costoro, ma la filosofia in sé è qualcosa di più. La stessa etimologia ce lo insegna: il termine infatti è di origine greca ed è l’unione di due parole, φιλος dal verbo φιλεĩν che significa amare e dalla parola σοφίɑ che vuol dire sapienza. Quindi filosofia vuol dire amore per la sapienza e filosofo è colui, appunto, che ama o è amico del sapere, della saggezza. Non è il saggio o il sapiente, non necessariamente, ma colui che tende, aspira alla saggezza o alla sapienza perché la ama. Non è una pratica elitaria da intellettualoidi che si divertono a mandare in tilt le teste dei “profani” con i loro sofismi labirintici e i loro sillogismi logici. O comunque, può anche esserci chi ne fa questo uso, ma non è esso quello più importante e necessario. La filosofia, come qualsiasi attività che mette in gioco le nostre capacità di ragionamento, di critica, che permette di fare un po’ di ginnastica al cervello, che ci misura con idee e autori che ci hanno preceduto o che ci accompagnano tutt’ora, che ci incanta con la portata del loro lume o con la bellezza della loro scrittura, ci aiuta a pensare, ci apre la mente, o ci riempie gli occhi (nel caso dell’arte per esempio).
“Il colpo di Stato di banche e governi. L'attacco alla democrazia in Europa”, L.Gallino, Einaudi, pp.352, euro 19,00.
Qualcuno li ha chiamati “tempi interessanti” (rif. omonimo saggio di Žižek), ma è fuor di dubbio che oggi si sia nel bel mezzo di un periodo ambiguo, concitato e sicuramente confuso. Sono in primis le classi dirigenti occidentali a ricordarcelo, continuando ad alternarsi ai vertici dei governi europei e dimenandosi come pesci fuor d'acqua ai governi, riducendo sempre più le differenze tra destra e sinistra (che pur ci sono), generando mostri politici e poi redigendo leggi sempre più restrittive dal punto di vista democratico-partecipativo per comprimere quei mostri e le sparute forze del dissenso: il maggioritario, gli sbarramenti, il doppio turno, la personalizzazione della politica, il liquefarsi dei partiti ecc. Il tutto avviene in presenza di un tasso di astensionismo inesorabilmente in crescita che fa pensare alle prossime europee con inquietudine, poiché difficilmente avremo risultati confortanti da questo punto di vista.
Nella pagine dei suoi libri riservate alla biografia dell'autore, Paolo Nori scherza e con la sua graffiante ironia si sottrae al faticoso compito di doversi presentare in poche righe. Quello di cui è certo però, è che scrive libri e tanto basta sapere di lui. In “Mo Mama”, uscito nell'Ottobre scorso, lo scrittore parmigiano classe 1963, compie un viaggio nella Parma del primo sindaco grillino d'Italia, analizzando con il suo tradizionale sarcasmo, le contraddizioni della 'nuova' politica.
1) Mo mama è una scatola piena di storie, storie raccontate con gli occhi di chi prova a vedere le cose come se le vedesse per la prima volta. Mo mama parla di rivoluzioni che prendendo la bici e girando per il centro di Parma fai fatica a notare, parla di storie di politici nuovi che troppe spesso ricordano quelli vecchi, parla di storie in cui l'insignificante esperienza del quotidiano ci suggerisce profonde riflessioni. Mo mama è l'arroganza di chi vuole avere ragione e l'ipocrisia di chi sa di non averla, è il busto di Picelli rivolto verso un angolo desolato della piazza e la disinvoltura di chi della semplicità e della piccolezza, ne fa dei valori da seguire. Da dove nasce l'idea di questo libro?
Quando sono andato via da Parma, nel ’99, io mi ricordo ho pensato che io era una vita che fin da piccolo in casa al mattino si trovava la Gazzetta di Parma, che si leggeva la cronaca della città, la città di Parma, si sapeva tutto quello che era successo in città, a Parma.
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