Relazioni internazionali, notizie da altri paesi, ingiustizie sparse per il globo.
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Come che siano andate le cose, paiono comunque evidenti le reciproche intenzioni, una più pericolosa dell’altra. Quella del regime siriano è di evitare di trovarsi a gestire, come invece tende ad accadere, una ridotta porzione del territorio siriano, rappresentata dalla metà meridionale della sua metà occidentale, dalla striscia costiera e dal suo immediato retroterra (sotto stretto controllo russo), dal corridoio che a nord porta verso Aleppo nonché da questa città (quasi tutto il nord-ovest essendo invece in mano all’ELS, alla Turchia, ecc., e l’est sempre più all’FDS). Una tale prospettiva renderebbe inevitabile, al termine del conflitto o ancor prima, la fine del regime, l’esilio di Assad, ecc., probabilmente anche con il consenso di Russia e Iran. Mentre l’intenzione, quanto a Trump, pare ormai essere il controllo stabile, per il
Una guerra, in Medio Oriente, che non si chiude anzi si allarga
Considero per primi i passaggi subiti dai conflitti armati mediorientali in corso che precedono il cambiamento di presidenza negli Stati Uniti; poi ricapitolerò quelli successivi. Da quando ci ho provato l’ultima volta i cambiamenti di prospettiva di buona parte degli attori in campo sono stati enormi, sino a delineare un quadro generale molto diverso, quello precedente essendo determinato dalla centralità di Daesh – dal suo uso turco, dal contrasto portatogli da regime siriano, Russia, Stati Uniti e loro alleati, Iran e forze a esso legate – mentre Daesh ormai sta per essere sconfitto sia in Iraq che in Siria.
Ricapitolando fino a “prima” rispetto al quadro attuale
Esso era venuto assumendo la forma di un’instabile o ridotta, a seconda dei momenti, alleanza tra Russia e Stati Uniti, unita dall’obiettivo di far fuori Daesh. L’intervento russo aveva consentito di sbloccare un conflitto che durava da cinque anni e che stava portando al totale disfacimento della Siria, al consolidamento della forma semistatale assunta da Daesh, all’espansione parallela di al-Nusra (l’al-Qaeda siriana), a quella della coalizione Ahrar al-Sham nonché di una miriade di altri gruppi islamisti minori, a volte solo sigle di copertura delle due realtà maggiori, a volte loro alleati, a volte in conflitto con uno di essi o con tutt’e due, a volte su base etnica (soprattutto turcomanna), ecc. La Giordania, incaricata dall’ONU del censimento di queste forze, ne conterà 65.
Sono stati ritrovati morti, domenica scorsa, i sette marinai statunitensi del cacciatorpediniere USS Fitzgerald vittima di un incidente con una portacontainer filippina il 17 giugno scorso. I sette si trovavano ancora a bordo della nave. Nella dichiarazione ufficiale rilasciata dal viceammiraglio Aucoin della settima flotta di stanza nel porto giapponese di Yakosuka si è espressa gratitudine per il lavoro di ricerca ed assistenza prestato dalla Marina e dalla Guardia Costiera nipponica. Ancora da accertare le cause del grave incidente. Il 23 giugno le forze USA, dopo un iniziale rifiuto a collaborare, hanno fornito alle autorità nipponiche materiale utile ad individuare le responsabilità dell'incidente. “Dall'analisi dei dati dovremmo essere in grado di determinare le circostanze della collisione” ha dichiarato Katsunori Takahashi, portavoce del Tavolo per la Sicurezza nei Trasporti.
La necessità per Theresa May di costruire una coalizione parlamentare in grado di sostenere un governo di minoranza conservatore tra le fila dei dieci parlamentari unionisti, a seguito della dura “non vittoria” patita nelle elezioni dello scorso 8 giugno, ha sicuramente attirato l'attenzione verso la politica Nord irlandese, altrimenti di norma ignorata dai più.
I seggi in palio nelle piccole contee nordirlandesi sono appena diciotto, di cui attualmente – a seguito delle scorse elezioni – sette in mano allo Sinn Féin, storicamente si rifiuta di sedere a Westminster, mentre le restanti constituencies sono rappresentate da membri del Democratic Unionist Party (10) e da una indipendente unionista. Gli altri due partiti parlamentari “storici” delle comunità unionista e repubblicana, rispettivamente Ulster Unionist Party e Social Democratic and Labour Party, sono stati azzerati dal responso delle urne dopo un lungo declino. Alla polarizzazione storica tra comunità si è aggiunta la recente polarizzazione causata dalla Brexit, con il SF assolutamente pro-remain (e infatti ha vinto o si è consolidato nella maggior parte delle circoscrizioni adiacenti al confine terrestre con la Repubblica d'Irlanda) e il DUP schierato con il leave.
2.963.889: sono le firme ottenute da Nihon Hidankyo in calce al proprio appello per un trattato che metta al bando le armi atomiche. L'appello e le relative firme saranno inviate al Gruppo di Lavoro ONU che ha iniziato le proprie riunioni il 15 giugno.
Assente dalla discussione proprio il Giappone che ha scelto di allinearsi alla posizione di boicottaggio messa in atto dagli Stati Uniti e dalle altre potenze atomiche.
Sempre in ambito nucleare, ma questa volta civile, buone notizie per i lavoratori dell'Agenzia Atomica vittime la scorsa settimana di un incidente durante dei controlli a contenitori di materiale radioattivo: l'Istituto Nazionale di Scienze Radiologiche non avrebbe rilevato plutonio nei polmoni delle persone esposte a contaminazione.
Il 13 giugno, intanto, la Corte Distrettuale di Saga ha rigettato un ricorso collettivo volto a ritardare la riattivazione dei reattori 3 e 4 della centrale di Genkai della Kyushu Electic. Il gruppo, composto da 202 cittadini residenti in 17 diverse prefetture, farà ricorso all'Alta Corte di Fukuoka.
Nonostante il ruolo chiave della Cina (riconosciuto dall'intera comunità internazionale) sulla complessa vicenda coreana il Giappone non rinuncia a stuzzicare il potente vicino intromettendosi, per l'ennesima volta, nelle rivendicazioni territoriali che vedono la Repubblica Popolare contrapposta a Filippine e Vietnam. Intervenendo all'Asia Security Summit, lo scorso 3 giugno, la ministra della Difesa nipponica Tomomi Inada ha sostenuto che “nel Mar Cinese Meridionale ed in quello Orientale continuiamo a testimoniare tentativi non provocati ed unilaterali volti ad alterare lo status quo e che si basano su asserzioni incompatibili con le norme internazionali vigenti”. Inada ha denunciato anche “periodiche incursioni in acque territoriali giapponesi” aggiungendo che occorra lavorare per un mondo nel quale “nessuna nazione abbia la possibilità di crescere e prosperare con paura, coercizione o intimidazione”.
La ministra è stata spalleggiata dal Segretario alla Difesa USA Jim Mattis il quale ha ribadito che la collaborazione USA-Cina volta a far interrompere lo sviluppo del programma missilistico e nucleare nordcoreano non mette in discussione la posizione, anticinese nei fatti, degli USA sulle isole contese nei mari meridionali ed orientali. “Lavoriamo insieme alla Cina perché quello nordcoreano è un problema anche per loro” ha sottolineato Mattis con la consueta spocchia che caratterizza il personaggio ribadendo che gli Stati Uniti “si oppongono alla militarizzazione di isole artificiali ed all'imposizione di eccessive rivendicazioni marittime”.
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