Collocandoci nel campo della sinistra, senza credere che questa categoria non abbia più validità, ci interroghiamo sulla necessità di una sua ridefinizione, confrontando opinioni diverse e percorsi eterogenei che sono alla base della nostra esperienza.
A numeri acquisiti e – si spera – elaborati da qualche settimana, possiamo forse approntare una prima analisi dei fenomeni elettorali, nonché del loro percezione a livello sociale e del loro impatto sui corpi intermedi della nostra democrazia rappresentativa.
Non ci perderemo però nell'analisi di flussi e dati, argomento tedioso su cui già si sono spesi fiumi d'inchiostro e tema capace di far abbandonare anche a personalità incommensurabilmente più autorevoli dello scrivente le vesti dello scienziato per quelle dello stregone, capace di ricavare notevoli profezie dalle interiora di qualche sfortunato animale.
Solo parlando delle “cose” si può comprendere per quale ragione scegliere una determinata opzione politica. Per me, per un militante di Sinistra Ecologia e Libertà: saperi, diritto al futuro, conoscenza. La necessità del cambiamento, in questi confusi giorni dell'esordio della XVII legislatura repubblicana, passa dall'analisi dei temi e dalla riflessione strategica a partire da questi. Voglio svolgere un'analisi contro-corrente, rispetto alle alchimie e all'algebra di Palazzo, alla somma fra senatori e deputati: partire da un tema specifico per segnare una strategia possibile.
Molti dei compagni che collaborano al Becco sono legati a Rifondazione Comunista, quindi riteniamo utile pubblicare anche una riflessione scritta in prima personale plurale, senza per questo voler legare a Rifondazione tutti gli altri articoli che fanno parte della discussione che abbiamo aperto sul nostro sito.
Gli errori strutturali compiuti dal PRC
Proviamo ad ampliare lo sguardo, a esaminare con un colpo d'occhio la scia lunga dei 20 anni di Rifondazione Comunista in relazione al contesto politico economico italiano. Che cosa emerge? Emerge che essa è stata l'unica forza politica che coerentemente e senza cedimenti non ha ceduto alle lusinghe ideologiche del capitalismo liberista, ideologia che invece ha permeato nella sostanza (chi più chi meno) tutte le altre formazioni politiche italiane. Questo è stato certo un elemento di pregio e lode per il PRC, che ha potuto contare su un apparato ideologico saldo che invece è stato ripudiato con dissennatezza dalle altre anime della sinistra da Occhetto in poi.
Fortunatamente anche questa tornata elettorale è passata. Certo, il risultato non è roseo per chi aveva creduto nella necessità di una rappresentanza parlamentare con un programma e delle aspirazioni compiutamente di sinistra. Ma troppe erano le criticità insite in Rivoluzione Civile e gli italiani hanno deciso che fosse giusto non sostenerne il progetto. Criticità per le quali non serve nemmeno un'analisi post-voto, talmente erano evidenti fin dall'inizio. Comunque un tentativo generoso da parte dei tanti militanti impegnati fattivamente nella campagna elettorale e persino dei dirigenti ora dimissionari. Come nel calcio, a volte è giusto che paghi soltanto l'allenatore.
“Immaginate una pentola piena d’acqua e dentro una rana che nuota tranquillamente..”. All’inizio la bestiola non si lamenta, anzi, ci sta bene, forse è persino appagata da quel caldo soffuso che la pervade. Ecco però che il caldo si fa più cocente, l’acqua comincia a scottare, sempre di più e la rana non lo sopporta più quella vampata di calore che l’avvolge e pian piano la soffoca. Con tutte le sue forze prova a saltare fuori dalla pentola ma il caldo le ha dissipato tutte le energie, ha “corroso” tutta la sua potenza al salto, alla fuga da quella prigione assassina.
Il dibattito che si è sviluppato all’interno del PRC sulla candidatura di Ingroia e la lista unitaria, con relativo simbolo, è a mio parere molto significativo. Intorno a questo importante passaggio tattico, efficacemente tratteggiato da Mauro Lenzi nel suo articolo (leggi qui) che condivido pressoché integralmente, si è innescata una discussione all’interno del partito dalla quale affiorano, in diverse realtà, due sentimenti.
Il primo è quello che definirei sindrome del tradimento: i gruppi dirigenti del partito ci hanno già tradito in passato e anche stavolta il loro unico obiettivo è tornare in Parlamento. Il secondo invece è quello identitario che porta a preferire la “bella morte” abbracciati ai nostri vessilli (perché tanto io sono e resterò sempre “comunista dentro”), alla possibilità di arrestare l’inerzia e risalire la china quanto meno sul versante della sopravvivenza. Entrambi i sentimenti tratteggiano una tendenza, segnalano un problema, impongono una risposta.
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