Collocandoci nel campo della sinistra, senza credere che questa categoria non abbia più validità, ci interroghiamo sulla necessità di una sua ridefinizione, confrontando opinioni diverse e percorsi eterogenei che sono alla base della nostra esperienza.
Intervista a Yves Charles Zarka
filosofo e saggista francese e direttore di “Cités”, rivista dedicata alla cultura politica contemporanea
Pubblicato sul cartaceo che potete scaricare qui
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1- Abbiamo avuto modo di partecipare, qualche settimana fa, ad un'iniziativa organizzata dall'Istituto dell'Università Europea a Firenze sulle possibilità di cambiare l'Europa che conosciamo oggi. Tra gli ospiti, Mirelle Bruyére, de L'Economistes Atterés, che ha concluso il suo intervento spiegando come, a grandi linee, ciò di cui abbiamo bisogno è un'Europa basata sul consumo più che sulla proprietà, che tenga meno conto della finanza e più dell'economia reale, disciplina sociale fortemente legata alla politica e all'organizzazione delle istituzioni.
Vede fattibile un cambiamento in tal senso? Se sì, con quali modalità e soprattutto quali tempi.
“Arca di pace o arco di guerra minacciosamente proteso nel Mediterraneo?”. La domanda che nei primi anni novanta don Tonino Bello si poneva per la sua Puglia, possiamo oggi farla per l’intera Europa. Perché la Ue non è solo moneta e politiche neoliberiste. Negli ultimi anni è diventata anche sistemi di polizia integrata, militarizzazione dei confini, missioni militari di contenimento dell’immigrazione che sono tutt’uno con gli accordi di libero scambio imposti ai popoli nordafricani. La linea del fronte è proprio qui, tra le due sponde del Mediterraneo le cui acque sono diventate il più grande cimitero della globalizzazione capitalista.
Su questa linea del fronte l’Italia è immersa dallo stivale in su.
Il 19 marzo le elezioni amministrative olandesi hanno visto un arretramento dei partiti di governo (il liberale Vvd e il laburista Pvda) e la crescita, invece, delle forze di opposizione e delle liste locali (queste ultime, che nel 2010 già superavano ogni altro partito raccogliendo complessivamente il 25%, hanno ottenuto un terzo dei voti).
Tra i partiti nazionali sono premiate le ali radicali (il Socialistische Partij e l’estrema destra del Pvv), ma, ancor di più, la formazione laica di centrosinistra Democratici ’66, divenuta il primo partito in 12 delle 20 amministrazioni maggiori, fra le quali Amsterdam, L’Aia e Utrecht (a Rotterdam prevale invece una formazione locale di destra populista). Proprio nel caso di Amsterdam è possibile leggere l’altro dato di queste elezioni: il declino del Pvda, assai più penalizzato dei partners liberali, che per la prima volta dal 1946 non risulta il primo partito nella città capitale.
Da oltre venti anni giornalisti, intellettuali o sedicenti tali, politici e media ci dicono che le ideologie sono tramontate, e la complessa realtà che stiamo attraversando in questo periodo è proprio legata alla fine delle ideologie.
Tuttavia senza un obbiettivo che sia parte di una visione diversa della realtà che ci circonda che senso ha l'agire politico?
“Interpretare” le intenzioni di Matteo Renzi non è facile, essendone il discorso costruito con i mezzi della pubblicità anziché della politica. È anche azzardato: il comportamento politico del personaggio, coperto da omogenee dichiarazioni sulle proprie pulsioni attivistiche, è stato sommamente incoerente, non solo nell'ultimo tratto. Tuttavia qualcosa si può ipotizzare, muovendo da frammenti di discorso o da dati più o meno noti; e può essere molto utile farlo, in veste di tentativo di evitare ulteriori abbagli e pasticci a sinistra.
Un posto che ben conosco, dove la nebbia quando picchia, picchia duro, e il sole estivo scalda troppo i campi lavorati, dove il fiume nel suo grande letto scorre lento vicino ai pioppi ben radicati sulla riva a difesa degli argini, così come sono profonde le radici del passato e che di tanto in tanto fanno ancora capolino con orgoglio, quasi un senso fiero di appartenenza. Dove guardando verso le colline e verso ai monti ognuno ha un nonno, uno zio un cugino un amico, un ceppo una lapide per ricordare. Orgoglio di appartenere alla razza di Picelli, di quelli che "i fascisti nell’oltre Parma” non sono mai entrati, fieri di essere quelli dei “fratelli Cervi” e dei moti di Reggio Emilia, tanto è tutta la stessa terra, Parma, Reggio la bassa dei culatelli, dei GAP, delle Officine Meccaniche Reggiane, delle prime bande partigiane. Che alla fine della guerra comunque saranno tanti, quasi 11 mila
inquadrati in cinque divisioni, su territorio che và dalla Cisa sino ai confini di Modena e in tutta la pianura sino al Po.
Comunisti di pancia e per cultura, ma nello stesso tempo un po’ anarcoidi nel pensiero e nei comportamenti, di quelli che la vita in qualche modo deve essere goduta e condivisa con gli altri, tra lambrusco, tortellini e spalla cotta visto che il sudore della fronte è tanto. Di quelli che non sanno odiare l’avversario, basta che siano galantuomini, tanto la fatica accomuna tutti, rossi e bianchi anarchici, internazionalisti e magari anche qualche democristiano.
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