Tutto ciò che è sociale ma non riflessione sociologica, legandosi a quello che compone la realtà in cui viviamo.
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Puntuale come ogni anno (e anche più spesso certi anni) arriva dal governo (questa volta della premiata ditta Letta-Alfano) la geniale - ed originale - proposta di svendere il patrimonio pubblico al fine di abbattere il debito. Tra i beni da mettere in vendita vi sarebbero una quantità impressionante di edifici pubblici e le partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in quelle imprese che una volta rappresentavano i cosiddetti enti pubblici economici (tra esse pare in fase avanzata la vendita di Ansaldo Energia, azienda leader nella produzione di componenti per centrali elettriche ad un gruppo sudcoreano).
Ho letto con interesse l’intervento di Franco Bortolotti e vorrei rilanciare legando assieme alcuni punti che mi suscitano, in direzioni diverse, maggiore interesse. Non mi soffermo analiticamente su tutte le questioni un poco per mancanza di tempo (sono una “sindacalista” che offre volontariamente il proprio tempo a questa causa tramite il lavoro in Acta_associazione cosulenti terziari avanzato volontaria) e un poco per mancanza di esperienza e di conoscenza approfondita sull’economia della grande impresa e sulle relazioni tra attori sociali che la vivono; così come per mancanza di conoscenza sui margini reali di profitto e /o le rendite delle grandi imprese che consentirebbero riflessioni più accurate.
Dopo una campagna elettorale all'insegna della richiesta dell'ennesimo voto utile per sconfiggere Berlusconi (con cui ora governa allegramente) e in cui la volontà di rinunciare all'acquisto dei caccia bombardieri era stata forse una delle poche cose comprensibili, il PD oggi ci ha messi di fronte all'ennesimo capolavoro, dopo i soliti rimandi e le consuete forzature di un Presidente della Repubblica che da tempo gioca il proprio ruolo ben oltre il dettato costituzionale.
In Italia sono quasi 4 milioni le persone che possono essere classificate come lavoratori autonomi senza dipendenti. In media, su 1000 euro che vedono entrare, a loro ne restano 545 mentre il resto se ne va in tasse (ad un lavoratore dipendente, su 1000 euro, ne restano in media 811). Sono stati proprio questi lavoratori i protagonisti dell'iniziativa organizzata oggi in Camera del Lavoro a Firenze, “Lavoro e impresa: innovazione e diritti”. Uno dei grandi problemi di questo Paese risiede proprio nella sua difficoltà di prendere atto dei cambiamenti che hanno stravolto il mercato del lavoro.
Gli argomenti sollevati dall’articolo di Croatto e Palagi sono molti e complessi; volendo intervenire su molti di essi, per comodità cercherò di seguire il loro ordine di esposizione, anche se lo farò in maniera poco organica e spero non troppo confusa.
Il tema dei grandi giacimenti di ricchezza esistenti in Italia, celato fino a poco tempo fa dalle forze politiche di governo nella loro totalità, sta affiorando da qualche giorno nel dibattito politico e sui media. Le ragioni sono subito dette. La prima è l'inconsistenza assoluta del governo Letta, capace solo di campagne pubblicitarie sull'occupazione giovanile, vantando i quattro soldi ottenuti dall'Unione Europea, gran parte dei quali si vedrà spartito tra il 2014 e il 2015. La seconda ragione, a sua volta, è che tutte le previsioni degli economisti seri, e addirittura dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e del Fondo
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