Relazioni internazionali, notizie da altri paesi, ingiustizie sparse per il globo.
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La notizia dell'attentato alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo ci è arrivata tra capo e collo, lasciandoci sconcertati. Dopo lo sdegno per la morte di tredici persone, la riflessione non è facile, affatto. Che la globalizzazione ci imponga sfide culturali in termini mai affrontati prima è un dato di fatto. L'Occidente patria dell'Illuminismo che rivendica la libertà di opinione vede avanzare, come in Svezia, forze politiche che danno fuoco alle moschee e di certo lo scandalo non innesca l'indignazione della società. È per questo motivo che abbiamo deciso di provare a cimentarci in una specie di "brain storming" per vedere cosa potesse venire fuori, riguardo alla vicenda, dal nostro cervello collettivo, di cui andiamo molto fieri proprio per l'eterogeneità al suo interno. Resta comunque il fatto che sia inaccettabile uccidere per delle vignette e proprio per questo, su suggerimento di Francesca Gabbriellini, apriremo questa sessione con una bella filastrocca di Gianni Rodari, "Il cielo è di tutti".
Il 2014 è stato archiviato da molti di noi come un anno abbastanza difficile. Di sicuro lo è stato per il popolo palestinese: l’escalation militare di quest’estate che ha visto l’esercito israeliano tornare a bombardare massicciamente la Striscia di Gaza, l’aumento esponenziale del numero di prigionieri politici detenuti, a dispetto di ogni normativa a difesa dei diritti umani, nelle carceri dello stato d’Israele e la rottura dei negoziati di pace, giusto per accennare a qualcosa.
Mentre l'esaltazione economicistica del "modello americano" tocca il suo apice coi fasulli dati di crescita del Pil nel terzo trimestre dell'anno, l'orrore del sistema repressivo delle classi dominanti viene totalmente celato agli occhi della società civile, lasciata a cullarsi nei reminescenti sogni consumistici.
La vigilia di Natale è stata accompagnata, oltreoceano, dalla notizia della crescita del PIL statunitense del 5% nel terzo trimestre dell'anno. Abbiamo visto in televisione il Presidente Obama festeggiare, circondato da bimbi danzanti, augurando buone feste a tutti, dato che del disastro del 2008 gli USA sono completamente usciti.
di Luca Onesti
Quest’anno la Mostra do Cinema da America Latina, organizzata dalla Casa da America Latina di Lisbona, è arrivata alla quinta edizione. È questa una delle poche occasioni in cui si può avere accesso ad un cinema vivo e di grande qualità come quello latinoamericano: il sistema di distribuzione cinematografico infatti tende a nascondere interi continenti, riducendoli ai pochissimi autori o film che trovano una diffusione nelle sale europee. Quest’anno non ho potuto seguire la Mostra in tutte le sue giornate (si può consultare il programma completo cliccando qui) e, oltre a segnalare il bellissimo film cileno Las analfabetas (Cile, 2013, di Moisés Sepúlveda, nato come spettacolo teatrale e interpretato dalle stesse attrici, Paulina García e Valentina Muhr, è la storia di una donna analfabeta di 50 anni che prova ad imparare a leggere con l’aiuto di una giovane professoressa), mi limiterò a raccontare la retrospettiva che quest’anno la Mostra ha organizzato sul documentarista brasiliano Eduardo Coutinho, curata dalla programmatrice della Mostra Maria Xavier (l’abbiamo intervistata l’anno scorso per Sosteniamo Pereira, qui) in collaborazione con Nuno Sena (programmatore dell’IndieLisboa, abbiamo intervistato anche lui poche settimane fa per Il Becco, qui).
L’11 settembre 2001 un gruppo armato legato al potere talebano in Afghanistan si impadronì negli Stati Uniti di quattro aerei di linea e riuscì a scaraventarne due contro le Twin Towers di New York, uccidendo tremila persone. Tra i numerosi effetti politici di quest’atto ci fu la partenza di una discussione tra i governi europei e nelle sedi dell’Unione Europea, oltre che sul da farsi in termini di prevenzione rispetto a rischi conformi per le proprie popolazioni, anche su ciò che andava considerato formalmente “terrorismo”. Si trattava infatti di dare una base legale adeguata ad azioni di prevenzione, forme di indagine, poteri degli inquirenti, misure di repressione, ecc. Il Parlamento Europeo, di cui ero allora membro, passò alcuni mesi a discutere, con scarsi risultati: l’unica cosa su cui c’era convergenza unanime era che atti distruttivi di vite civili che partivano da motivazioni politiche, come l’attentato dell’11 settembre, erano da considerare
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