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Si ringrazia Roberto Capizzi per la traduzione.
“Una donna non può essere femminista soltanto perché è donna. È una femminista perché comincia ad allontanarsi da modi sessisti di pensare e perché compie una rivoluzione nella propria coscienza.“
Non possono che venirci in mente queste parole di Gloria Jean Watkins (autrice americana, femminista e attivista sociale) parlando di Erika Lust, regista e produttrice porno femminista che mira a sfidare con i suoi film le concezioni predominanti di sessualità e definendo il porno mezzo di espressione femminista.
Il femminismo pro sex nasce in America alla fine degli anni Novanta e vede la pornografia, esaminata accuratamente e totalmente ridefinita, come uno strumento di affermazione della libertà sessuale femminile, come modo per ribellarsi al tradizionale patriarcato in un mondo che è oggi ancora si dimostra sordo nei confronti del piacere femminile ed in un campo, quello del film porno, da sempre sessista che vede la donna come mero oggetto sessuale obliando non solo il soddisfacimento del piacere ed il desiderio sessuale femminile, ma avallando spesso l' idea che, per natura, la donna ami essere "dominata" dall' uomo.
Mettiamo una sera a Firenze un filosofo francese, un giornalista greco ed un'amministratrice italiana. Sembrerebbe quasi l'inizio di una bella storia ma altro non è stata che l'iniziativa organizzata dalla federazione fiorentina di Sel mercoledì 26 febbraio all'Sms di Rifredi: “Democratica e solidale. L'Europa giusta”. Un bell'incontro con relatori che non capita di incontrare tutti i giorni: il filosofo francese Yves Charles Zarka, il giornalista greco Argiris Panagopoulos e Cecilia D'Elia, membro del coordinamento nazionale di Sel.
Il mio bar preferito da quando abito in zona, per gli interni in legno dipinto, le poltroncine rosse e il cappuccino buonissimo. Quando cambi zona una delle prime cose che devi trovare è un bar a cui affezionarti, ti fa sentire a casa. Dal bar 'Schiaccia chicco' passa ogni giorno la gente della mia strada, vicini di casa che non conosco ma che condividono con me le routine e le preoccupazioni quotidiane. Temi che non sono lontani a nessuno, anche se ognuno reagisce a modo suo.
“Preoccupati per il futuro? Noi siamo abituati a vivere preoccupati, lo siamo tutti i giorni, non abbiamo tempo di preoccuparci per il futuro. Pensiamo a un giorno per volta” È Stefano, il proprietario del bar insieme alla compagna Lucilla. Non ha l'aria di uno che si lagna mentre lo dice, sembra davvero averci fatto il callo. “Quando abbiamo aperto, nel 2009, ci davano dei pazzi. Un bambino piccolo, una famiglia da mantenere e la crisi che incombeva come una spada di Damocle”
Ma hanno aperto, perché era quello che sapevano fare ed erano, come dice Stefano, “nell'età giusta”. L'età in cui pretendi un futuro, anche se dici di non pensarci.
È davvero una storia singolare quella del Partito Democratico in questi ultimi dodici mesi. Presentatosi alle elezioni con grande sicumera, ne uscì assai malconcio ed ebbe a subire nei mesi seguenti ulteriori rovesci: dall’impasse sull’eventuale governo Bersani con il M5S alle giravolte Marini-Prodi-Napolitano al governo col Pdl: tutti fenomeni che avrebbero dovuto logorare il partito e che – soprattutto i 101 franchi tiratori contro Prodi e il governo di grande coalizione – sono rimasti indigesti al suo elettorato.
A distanza di un anno, invece, il Pd appare aver rafforzato il proprio capitale di influenza politica, e ciò, al di là dell’energia renziana, sostanzialmente per un motivo di sistema: l’immobilismo dei suoi avversari e le loro minori capacità di fare politica.
Di come in questo Paese si affrontano le tematiche di politica estera ci siamo spesso lamentati: un disinteresse latente e fortemente diffuso è il campo perfetto in cui coltivare, a suon di disinformazione o notizie distorte, una coscienza completamente alterata di quello che avviene nel mondo.
In questi giorni i telegiornali si sono occupati largamente della crisi ucraina, mettendo in atto alla perfezione i precetti del buon giornalista al soldo dell'imperialismo. Il dramma di una società sull'orlo di una guerra civile è stato ridotto allo scontro tra la popolazione, oppressa dal governo filo russo, che
I lavoratori della scuola pubblica sono senza contratto da cinque anni.
Suona male, abituati all'imperversante coro di disistima che aleggia nei confronti del pubblico impiego da qualche anno a questa parte insieme a quelle critiche circa la funzione del welfare statale, accusato spesso di tralasciare la sua missione tramite ricorso a tecniche di elusione del lavoro, spiegate da autorevoli commentatori con dinamiche pseudo-antropologiche, a tratti vagamente metafisiche.
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